Il Riformista, di Antonella Candore –
Una delegazione in Romagna alla ricerca di chi sappia far rinascere i beni culturali. Ma il business si allarga ad altro. I cinesi sbarcano a Ravenna. Per il mare? No, per i restauratori. In questi giorni un gruppo di dirigenti pubblici, imprenditori e professori di Shangai – con l’immancabile commissario politico – è in visita alla ricerca di tecnici ed esperti di restauro di beni culturali. Per i romagnoli il boccone è ghiotto.
Se per la conquista del paese del Dragone testa di ponte è la locale università, obiettivo a lungo termine è fare del porto cittadino il punto di riferimento europeo dei commerci cinesi. Nel mezzo, ceramiche, piadine e lambrusco da far sbarcare sul mercato asiatico e, perché no, far includere nelle rotte dei tour operatori cinesi anche il mare della Riviera. A far da sponsale all’inedito asse Romagna-Cina è il vicesindaco Giannantonio Mingozzi che col Comune e l’università ravennate ha organizzato la visita della delegazione che sta seguendo corsi di formazione sul restauro e visita monumenti e cantieri in tutta la provincia. Galeotto fu l’Expo di Shangai di qualche mese fa. «Ravenna era ospite del Padiglione Italia: portammo in mostra anche le nostre tecniche di restauro e conservazione dei beni culturali, e i cinesi si sono dimostrati particolarmente interessati».
A stupire gli asiatici fu il fatto che i ragazzi romagnoli si esercitano direttamente sulle opere d’arte di cui la capitale dell’Impero romano d’occidente è piena: non si usa impiegare stagisti universitari sul «lavoro vero ma gratuito», li in Cina. A sorprendere gli italiani, invece, fu il fatto che «eravamo tutti abituati a pensare che i cinesi con le loro opere d’arte avessero un approccio, diciamo così, distruttivo invece che conservativo – racconta Mingozzi – Invece il Governo cinese sta preparando un corposo piano di restauri, qualcosa è cambiato dal punto di vista culturale».
E siccome di gente capace di approcci del genere in tutta l’Asia pare non esserci nessuno, è stato naturale che lo sguardo si volgesse verso l’Europa. «Di noi hanno apprezzato che nella nostra università non abbiamo l’arroganza che spesso hanno inglesi e francesi che scontano ancora un certo colonialismo mentale e che quindi, se serve un tecnico esperto, vogliono insediare in Cina una intera facoltà universitaria. Noi mandiamo ora quello che ci chiedono, quindi professionisti, docenti, tecnici e gente che gestisca la manodopera, quel che accadrà dopo si vedrà», illustra il vicesindaco.
Sono già stati programmati i prossimi incontri con la Cosco, una grande compagnia cinese di spedizionieri di container, e si è stati ben eruditi sul savoir faire per fare affari con gli asiatici. «Non basta vincere l’appalto – spiega ad esempio Mingozzi – il rapporto prosegue sulla base della fiducia per tutta la durata del lavoro. E bisogna sfatare il mito che i cinesi copiano e basta, o che siano chiusi e poco propensi agli affari. Anzi, come mentalità sono quanto di meglio un imprenditore possa chiedere». Il denaro da spendere non manca. Un esempio? Ai cinesi è particolarmente piaciuta la conformazione del porto canale di Ravenna, che si insinua per 20 chilometri dentro la città. Visto che sono in programma restauri conservativi sulle 6 città d’acqua che si affacciano lungo il fiume Yangtze, e visto che da Ravenna saranno mandati professionisti, artigiani e capi-cantieri, «perché non invitare anche qualche ingegnere che progetti per noi un porto canale?», è stata la richiesta dei delegati
Ravenna, Opere d’arte, i cinesi importano restauratori
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