Archivio Vasari, la rivincita del privato. Questa è la notizia, con all’interno una “non notizia”

Redazione EosArte · October 25, 2009

Di Pierluigi Massimo Puglisi Grande scalpore, notizia da TG nazionale, eppure è una “non notizia”. Perché lo Stato e non solo, è abituato da sempre a non pagare, e questo in un Paese “poco normale” è davvero una “non notizia”. La mia è una posizione da privato, lo dico subito e senza equivoci, quella di uno che si è trovato e si trova ancora a questionare con lo Stato per cose molto, molto simili a quelle dei proprietari dell’archivio Vasari. Quindi uno collocato oggettivamente e comunque dalla parte del più debole: il privato cittadino che possegga beni culturali di rilevanza storica sottoposti a vincoli. Dall’altra parte c’è lo Stato, che spesso ci tratta, sostenuto da una parte di cittadini, come dei semplici sudditi. Naturalmente molti che si ergono a custodi dello statalismo, sono più inclini a godere della roba altrui, specialmente quando è gratis, e nel contempo meno inclini a far godere della propria, che invece è sacra. Ora tutti si sbracciano a protestare per lo scandalo: i russi? E chi sono, cosa vogliono, che c’entrano? Porteranno via documenti?  Ma che hanno comprato a fare? Da dove gli vengono i soldi? Ma chi glie lo fa fare? E perché 150 milioni di euro? Tutti agitati eccetto il Ministero, che ben conosce la forza del suo potere, perché, se la procedurà si rivelerà corretta (e il sindaco di Arezzo Fanfani da buon avvocato sottolinea se), la proprietà di un bene culturale particolarmente importante, l’Archivio Vasariano, doppiamente vincolato, passerà di proprietà, ma rimarrà per via della pertinenzialità esattamente dov’è, a Casa Vasari. Che ci sia un preconcetto verso i russi è da escludere. Il vincoli di universalità e pertinenzialità restano, se legittimi. Lo scandalo è che nessuno in 88 anni si sia preoccupato di un futuro ipotetico e che sembrava da fantascienza  e che invece ora sembra avverarsi. La notizia sarebbe invece che il privato cittadino abbia ragione e non sia lo Stato ad averla, una volta tanto. Il fatto che a comprare siano russi o cinesi è del tutto irrilevante, e nessuno se ne può scandalizzare. Non sono aretini, e casomai questo è lo scandalo, e spiego perché: l’Archivio è in godimento perpetuo al comune di Arezzo fin dal 1921, quindi dai Podestà di allora fino a tutti i Sindaci che ci sono stati in città in 88 anni. Nessuno si è mai preoccupato di comprarlo. Non lo Stato, che pure poteva procedere ad un acquisto coatto, ossia ad un esproprio per pubblica utilità (però significava in qualche modo pagarlo, ed a prezzo di mercato, non ad un tozzo di pane), né la Regione, né il Comune, né altra istituzione cittadina, né un privato di Arezzo,  tutti pensando che avendone il godimento perpetuo ( ?) questo fosse garanzia  sufficente. La logica è stata questa: perché pagare quello che si può avere gratis? Quindi  nessuno si è preoccupato di acquisirlo definitivamente, lasciando il cerino in mano a chi sarebbe arrivato dopo: nel caso specifico all’incolpevole sindaco Fanfani. Eppure ci sarà stato in città in 88 anni qualcuno abbastanza ricco da fare ai proprietari un’offerta decente, visto che prima le cifre potevano essere molto più modeste, e comperarlo per  poi donarlo alla città? O no? Naturalmente vista dalla parte dei proprietari la faccenda è del tutto diversa: da 88 anni la comunità gode di un bene mai pagato, che vale ‘na cifra, ma loro non hanno visto da tutto questo proprio nulla, neanche una quota del prezzo del biglietto, anzi, suonando al campanello di Casa Vasari, nemmeno gli è stato aperto. Trattati come dei perfetti estranei, proprietari sì, ma quasi dei disturbatori della pubblica quiete. Riducendo quindi la proprietà a fatto virtuale, con loro evidente danno, ma difficile da farsi rimborsare. Eppure il danno c’è. Sulla questione, gli articoli più esaustivi sono quelli  apparsi  sulle pagine locali de la Nazione, a firma Salvatore Mannino e Alberto Pierini , che ricostruiscono la lunga cronaca dei fatti, anche giuridici, quindi difficili da spiegare, e pubblicavano ieri  due foto con la seguente significativa didascalia: LA BEFFA DEL CONTE : Il conte Festari ha alla fine beffato lo stato che gli aveva chiuso la porta in faccia. Nella foto grande l’aristocratico suona a Casa Vasari ma il custode lo lascia fuori. .” Oggi indagano questi giornalisti oltre, sempre puntualmente, e assieme a Sivia Bardi ripercorrono la storia, interrogando Paolucci, Bertelli e la dirigente della Soprintendenza Archvistica Toscana, Toccafondi. Ma a mio parere di scandaloso in merito ci sono ben altre cose. Intanto che nel 2009 in Italia, in tanti non abbiano ben chiara che cosa sia una proprietà privata, e si confonda, non sempre in buona fede per la verità,  il “pubblico godimento” con la proprietà pubblica, mentre nel caso specifico, in molti casi specifici italiani, di cui alcuni proprio ad Arezzo anch’essi eclatanti, sono cose ben distinte. La cosa rimane confusa perché per molti, spesso pubblici funzionari, gratta gratta, le prerogative dello Stato sono queste : intanto di non rispettare le sue stesse leggi, per esempio quando si mette nella posizione, come fa quasi sempre, di essere l’unico potenziale acquirente di un bene culturale al di fuori di ogni possibile concorrenza. Scandaloso, anzi oltre i limiti, è poi che si possa usare il vincolo per abbassare il valore degli oggetti. Ora sono arrivati i russi a far capire che il mondo è davvero globalizzato, ma per anni questa funzione di supplenza negli acquisti la facevano spesso le banche italiane, acquistando, colleziondo e anche sponsorizzando restauri, dato che lo Stato è rimasto quasi sempre inerte, diversamente da quanto accade negli altri Paesi. L’altro sandalo è di aver creato una tradizione consolidata al “non acquisto niente, non ho soldi”,  ragione che lo Stato adduce sempre. Ma questa non è una buona ragione, casomai una spiegazione insufficente: non potrebbero infatti i cittadini dire lo stesso al momento di pagare le tasse? Insomma è una “non notizia” scoprire che questo è un Paese talmente ideologizzato nel suo dna, da riconoscere come fossero proprii i beni privati altrui, pretendendo di goderne, e gratis. Insomma quel che è mio è mio, e quel che è tuo è quasi mio. Accade in questa città anche per un altro archivio, non importante come quello Vasari, per carità, ma sempre di grande interesse, quello dell’archeologo Granfrancesco Gamurrini, personaggio ben noto per la storia culturale del territorio aretino. Depositato un po’ di anni fa (vorrei leggere l’atto), i proprietari non riescono più a vederlo. Nemmeno per una Tesi che una delle eredi , Chiara Gamurrini, doveva fare sul lavoro del suo bisnonno. Lo Stato non ha pagato nulla, se ne è semplicemente impossessato. E questo è una sorta di esproprio non pagato, ossia un indebito arricchimento. E c’è ancora un altro caso qui vicino, a Monte San Savino: opere rilevantissime nella Chiesa di santa Chiara, per le quali non si arriva ancora ad una soluzione definitiva. Sia chiaro che di questi casi è piena l’Italia, perché l’arte è sempre nata dai privati ed è divenuta pubblica soprattutto grazie a loro, come tutti gli storici sanno bene. Nella maggior parte dei casi gratuitamente, ma non sempre per genuina volontà dei proprietari, convinti spesso dalla logica che dice “ le famiglie si estinguono, lo Stato e la Chiesa restano”, cioè il tempo passa sempre a vantaggio delle Stato, mai a vantaggio del privato proprietario. Eppure se i russi comprano, una buona ragione, anzi più di una, ci deve pur essere. Al di là del prezzo, che fa crescere d’improvviso il valore di tutti gli archivi, o quanto meno l’interesse, mi pare di vedere un aspetto che non è stato ancora toccato: chi è il proprietario del copyright dei contenuti dell’archivio? E può internet battere lo Stato?  Credo che la signora Toccafondi, dirigente della soprintendenza archivistica toscana sappia già la risposta. Ci dice che l’ archivio è microfilamato e accessibile a tutti. Ma chi decide a chi è acessibile ed in quali occasioni? E siamo davvero sicuri che su questo il proprietario non abbia dei diritti? C’è proprio bisogno del possesso fisico di una carta? O non ci basta ormai avere il diritto di riproduzione del contenuto? E aggiungo, avere il potere di darlo al mondo. Bill Gates docet. Forse i russi se ne sono accorti. Nell’attesa vi cito una parte significativa di una  Lettera di Michelangelo a Giorgio Vasari.Trovata attraverso google su www.diras.unige.it/: Parafrasi in italiano moderno: “Io fui incaricato forzatamente (mio malgrado, contro la mia volontà) del progetto e della costruzione della basilica di San Pietro, e per circa otto anni ho ubbidito agli ordini (sott.: del papa) non solamente senza compenso, ma con mio danno e senza alcun piacere personale; e ora che (sott.: la fabbrica, la costruzione di San Pietro) è avviata e che ci sono fondi finanziari da spendere, e che io sto per costruire ben presto le volte della cupola, se io me ne andassi (da Roma e dal mio lavoro in corso), ciò costituirebbe la fine rovinosa (il fallimento) della costruzione di cui ho parlato; per me (personalmente) sarebbe una grandissima vergogna (morale),(un insuccesso (pubblico) in tutto il mondo cristiano, e per la mia anima un gravissimo peccato: perciò, mio caro Messer Giorgio (Vasari), io vi rivolgo questa preghiera, che ringraziate da parte mia il Duca (di Toscana, Cosimo dei Medici) per le sue generosissime offerte (di danari per realizzare opere artistiche), di cui mi parlate nella Vostra lettera, e (Vi prego inoltre) che preghiate sua Signoria (il Duca Cosimo) che con il suo generoso permesso e concessione io possa continuare qua (a Roma, il mio lavoro), fino a che io me ne possa andare ottenendo buona stima, onore e senza aver commesso peccato (abbandonando il lavoro di costruzione). Roma, il giorno undici maggio

  1. Vostro Michelagniolo Buonarroti.”

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