di Guillaume Von Holden - Abadir “Art Between Architecture Design and Interdisciplinary Research” è un’accademia di belle arti che in quest’ultimo anno sta cambiando pelle grazie alla volontà dell’architetto Lucia Giuliano, lungimirante direttrice capace di ricamare un’intricata rete di connessioni con artisti e operatori del settore, dando vita ad una serie di workshop e seminari nell’ottica di offrire un percorso didattico differente e realmente qualificante. Incontro Lucia Giuliano presso la sede di Abadir, un’antica a villa collocata su uno sperone lavico a Sant’Agata Li Battiati poco distante da Catania.
Quando nasce Abadir e con quali prospettive? Abadir sta affrontando un cambiamento, non più solo un’accademia, ma un’istituzione culturale ad ampio spettro dedicata alla ricerca e alla sperimentazione. Una dimensione assolutamente europea di affrontare il tradizionale modello accademico. Abadir riconosce il bisogno di nuove strategie nell’educazione, l’importanza di far incontrare pratiche ed esperienze che interagiscano tra loro, al di la dei margini delle discipline, sotto forma di workshop, simposium, seminari, laboratori, conferenze ed esposizioni. L’idea è quella di proporre Abadir come luogo, comunità aperta, sistema dinamico in continua evoluzione. Abadir come un territorio che vive del lavoro e della ricerca dei suoi abitanti, per esserne trasformata continuamente; Abadir come luogo del dibattito che fa incontrare/scontrare forze diverse. Tomoko Sakamoto e David Llorente, un architetto giapponese e un graphic designer catalano residenti a Barcelona, hanno disegnato una bandiera come simbolo di riconoscimento di Abadir: un drappo di stoffa che marcherà il nostro territorio.
Da cosa nasce questa voglia di cambiamento e come si rapporta al territorio siciliano? Nasce dall’esigenza di creare un sistema formativo all’avanguardia che si misura non solo con la dimensione locale ma che amplifica i propri riferimenti e dialoga con un contesto più ampio. Il territorio siciliano diventa un luogo di sperimentazione sia per chi vi è nato e vissuto che per chi, da fuori, può offrirne una visione diversa, una lettura allargata generata dallo scambio e dal confronto. Il nostro primo obiettivo è quello di sostenere lo sviluppo delle discipline artistiche anche come risposta e/o riflessione sulle trasformazioni che viviamo in ambito sociale, politico, economico e tecnologico. Abadir allora offre uno spazio creativo alla società, che abbracci la produzione culturale a tutti i livelli e promuova la sostenibilità in ambito culturale. Attenzione però, non siamo un museo, una fondazione, una galleria o un centro espositivo. La formazione rimane il nostro obiettivo principale, che si arricchisce di tanti momenti di incontro che servono a renderla dinamica e sempre diversa. Questa sorta di grande rinnovamento prende il via con 3 workshop: “Cattiveria” di Filippo Leonardi, “Handmade Editions” di Federico Lupo con Massimiliano Bomba e Bea De Giacomo ed infine “Lavascape” un esplorazione del paesaggio delle “sciare” organizzato da Landform con il sostegno del Politecnico di Torino.
Come nascono le collaborazioni che hanno dato vita ai primi 3 workshop? Alcune delle collaborazioni, come quella con Federico Lupo di Zelle, sono nate dalle prime esplorazioni sul tessuto locale che ho compiuto al mio ritorno in Sicilia dopo tanti anni di vita all’estero. Zelle mi ha incuriosito per la sua dinamicità e per la sua attenzione sensibile nei confronti di alcune esperienze di giovani artisti, spesso fuori dallo star system ma ricercati nel proprio approccio all’espressione artistica. Filippo Leonardi è invece una vecchia conoscenza; già vicino ad Abadir da alcuni anni svolge una ricerca acuta e sottile che ho voluto condividere come momento didattico per stimolare l’idea dell’arte come processo in cui un pò di cattiveria non guasta. Lavascape, infine è un progetto più legato alla mia attività di architetto sensibile ai temi del territorio e del paesaggio e si inscrive in un percorso cominciato nel 2008 con la fotografa torinese Laura Cantarella, con cui ho fondato la piattaforma di ricerca Landform, incentrata sui temi del paesaggio. Saranno tre momenti molto diversi tra loro -la creazione di un’installazione, l’assemblaggio di pagine e materiali diversi per la composizione di un’edizione handmade, la restituzione del paesaggio lavico attraverso il racconto fotografico e il disegno- uniti però da un unico filo rosso: l’idea della processualità e della ricerca. A che tipo di pubblico si rivolgono? Si rivolgono a tutte le persone che hanno intrapreso una ricerca, intesa non solo come momento di studio accademico ma anche come approccio personale nei confronti del mondo. Studenti di accademia, universitari, professionisti e persone comuni che vogliono confrontarsi con altri modi di vedere per elaborare nuove idee e progetti nell’ottica della condivisione e lo scambio con gli altri.
Puoi darci un’anteprima dei prossimi progetti? Adesso siamo molto concentrati sulla trasformazione del nostro programma di studi di arti visive che prenderà avvio per il prossimo anno accademico 2011-2012. Insieme a questo attiveremo un Master di I livello in product design, dal titolo Out (of the) door con cui porteremo finalmente il design al sud nella formazione post-laurea. Ulteriori dettagli prestissimo in arrivo.