Dovendo scegliere tra 15 fattori che ostacolano lo sviluppo delle imprese, il 19,9% degli imprenditori italiani mette al primo posto la burocrazia statale inefficiente e l’eccesso di regole. E’ una percentuale molto più alta rispetto agli altri grandi Paesi europei. Lo sottolinea il Censis nell’ambito del tradizionale appuntamento di riflessione di giugno “Un mese di sociale”, dedicato quest’ anno al tema “Rivedere i fondamentali della società italiana”. E gli effetti del cattivo funzionamento della macchina pubblica sono evidenti se si guarda la nostra capacità di spendere i fondi europei della programmazione 2007-2013: a un anno dal termine ultimo, abbiamo speso solo 33 miliardi di euro, ovvero il 71% di quanto programmato. L’iniziativa privata è soffocata dalla burocrazia e dall’eccesso di regole: procedure, adempimenti e carico fiscale zavorrano la ripresa. Con il rischio del prevalere di uno statalismo autoreferenziale. E’ quanto sottolinea il Censis nel terzo dei quattro incontri del tradizionale appuntamento di riflessione di giugno “Un mese di sociale”, dedicato quest’ anno al tema “Rivedere i fondamentali della società italiana”. Dovendo scegliere tra 15 fattori che ostacolano lo sviluppo delle imprese, il 19,9% degli imprenditori italiani colloca al primo posto la burocrazia statale inefficiente come principale zavorra per chi vuole avviare un’attività economica. Si tratta di una percentuale molto più alta rispetto agli altri grandi Paesi europei: l’8,5% nel Regno Unito, l’ 8,9% in Germania, il 10,3% in Francia. Al secondo posto gli imprenditori italiani citano l’eccessivo carico fiscale (18,7%), molto più dei loro colleghi tedeschi (10,9%), inglesi (12,8%), spagnoli (12,8%). Gli effetti del cattivo funzionamento della macchina pubblica sono evidenti se si guarda la nostra capacità di spendere i fondi europei della programmazione 2007-2013. A un anno dal termine ultimo, la spesa certificata è di 33 miliardi di euro, ovvero il 71% di quanto programmato. Questo significa che bisognerebbe spendere entro l’anno i residui 13,6 miliardi di euro, oltre 10 miliardi dei quali riguardano le regioni meridionali. (Confcommercio.it)