Una Madonna dal viso dolcissimo, l’incarnato delicato, due occhi profondi, allatta il Bambino tra due angeli: è la Virgo Lactans di Cerami (Enna), la Madonna della Lavina, tavola quattrocentesca che è vissuta, pressoché nascosta e protetta dal culto dei fedeli, da tempo immemorabile, nell’abbazia di San Benedetto a Cerami. Una Vergine fanciulla, ritratta in un momento di straordinaria intimità col figlio: ritorna alla sua originale, splendida bellezza grazie al lavoro certosino dei tecnici del Centro regionale di Restauro che ha scoperto il dipinto in pessimo stato. Sono così tornati alla luce i colori brillanti, le figure della Madonna assisa sul trono, del Bambino e dei due angeli, ma anche lo sfondo bruno, il cuscino ai piedi tipico delle immagini orientali. Alle spalle della Vergine si intravedono due veli, a destra e a sinistra, che indicano che la scena si svolge all’interno, mentre la forma superiore appuntita della tavola, un triangolo isoscele, indica la montagna sacra. Il bambino si nutre teneramente del latte della madre e fissa il suo sguardo esattamente sulle labbra di Maria come a volerne accogliere il nutrimento dei suoi insegnamenti. Il volto della Madonna appare sereno, la mano sinistra accarezza dolcemente il mantello del bambino, mentre la destra lo sorregge attraverso un cuscino curvo. Il maforion che copre il capo della Vergine è marrone (natura umana) con risvolti d’oro (natura divina). LA TRADIZIONE POPOLARE Alla Madonna della Lavinala tradizione attribuisce poteri miracolosi e per anni la tavola è stata conservata con cura dalle monache benedettine di Cerami che per proteggerla da devastazioni e furti, la inchiodarono più volte ad una trave del soffitto, rendendone quindi impossibile il ritrovamento. In seguito le suore abbandonarono il monastero di Lavina e si trasferirono nel centro abitato, nel monastero annesso all’abbazia di San Benedetto. Il vecchio monastero abbandonato andò in rovina seppellendo, tra i suoi ruderi, l’icona della Madonna ritrovata soltanto intorno al 1650 sul greto di un torrente per merito di una mula che si impuntò e non ci fu verso di farla proseguire fino a quando un bambino, scavando nel punto su cui l’animale continuava a pestare, non ritrovò la tavola. NOTIZIE STORICHE. Poche le notizie storiche e documentarie che riguardano l’opera, ad eccezione di una breve citazione di Vito D’Amico che nel suo “Lexicon topograficum siculum” (Catania, 1740) scrive di un’antichissima tavola di Madonna, illustre per meravigliosi prodigi conservata in un monastero di Benedettine a Cerami. E del Pitrè, studioso delle tradizioni popolari, che nel volume “Feste patronali in Sicilia”, racconta come tra i ruderi di un vecchio monastero di Benedettine, situato ove ora sorge il Santuario della Lavina, venne alla luce un quadro della Madonna, che Vito D’Amico fa risalire al 1300. Per il resto ,sull’opera fanno cenno alcuni storici locali riportando leggende popolari, che attribuiscono alla sacra immagine un ruolo significativo nell’immaginario collettivo, come scrive Chiara Caldarella, responsabile storico-artistica del progetto di restauro. I tecnici del Centro di Restauro hanno in un primo tempo approfondito le ricerche sulla tecnica, quindi hanno cercato di risalire alle cause del degrado. Il dipinto è stato sottoposto ad indagini diagnostiche: è stata avanzata l’ipotesi dell’intervento di un pittore esterno o locale, condizionato da metodi usati tradizionalmente in altri ambiti culturali. La tavola è un pregevole esemplare della corrente artistica che, diffusa tra il XIV e il XV secolo in Sicilia e nata da una premessa di origine bizantina, si innesta sulla cultura occidentale, con uno sguardo rivolto alla pittura senese, agli elementi veneto-marchigiani e al decorativismo catalano. Grazie ai risultati delle indagini scientifiche e attraverso i confronti stilistici con opere siciliane e iberiche di sicura datazione, si ipotizza che l’opera possa essere attribuita ad un artista locale che, intorno alla prima metà del XV secolo, ripropone i caratteri della cultura trecentesca, rinnovandoli con influenze stilistiche di matrice catalana e valenzana, guardando alle opere degli spagnoli Ermanno e Pietro Serra, ben noti in Sicilia già alla fine del XIV secolo. L’INTERVENTO. Si tratta di un dipinto a tempera su tavola in pino nero (166 x 63 cm, e 2 cm di spessore), con una cornice lignea, postuma, dipinta e dorata (circa 30 cm di larghezza) entrambe cuspidate sulla parte superiore. Prima dell’intervento l’opera si presentava in pessimo stato di conservazione: la superficie era molto offuscata da un film grigiastro, dovuto probabilmente alla colla di un antico restauro, si notavano diffuse ridipinture, numerose lacune del film pittorico e della preparazione. La tela era in alcune zone distaccata dalla tavola e con strappi sulle aureole della Madonna e del Bambino; e numerosi fori e chiodi sulla superficie raccontavano l’applicazione di ex voto, oggetti devozionali e ornamentali. La struttura lignea era in generale compatta, ad eccezione di alcune zone infestate dai tarli. La principale causa del degrado è stata individuata nella “fragilità” degli strati preparatori e del colore, che durante il restauro sono stati consolidati. Le restauratrici Alessandra Longo e Arabella Bombace con la consulenza del restauratore Alberto Finozzi hanno preparato numerosi campioni ad imitazione dell’originale per scegliere il consolidante da utilizzare ed in quale percentuale applicarlo. Per il restauro delle parti pittoriche è stata utilizzata l’elaborazione informatizzata di ritocco virtuale su supporto digitale. Per una corretta lettura, si è preferito reintegrare le piccole lacune degli incarnati e trattare le grandi ed estese mancanze di colore con la tecnica della “tinta neutra” (di certo non invasiva) eseguita direttamente sulla tela. Il Centro di Restauro ha anche condotto un’indagine sull’ambiente dove verrà custodita la Madonna della Lavina e dettato le linee guida per la sua corretta conservazione. Ufficio stampa Centro Regionale di Restauro Simonetta Trovato 335.1407248 e 333.5289457