Il coro delle categorie economiche è ormai quotidiano. E i mercanti d’arte italiani? Certamente ci sono anche loro, i primi ad entrare in crisi, gli ultimi ad uscirne, come è storicamente accertato. Ed ecco che dopo aver sostenuto e partecipato come ogni categoria economica alla giornata di protesta del 28 gennaio di RETE IMPRESE ITALIA, la Federazione attraverso una lettera aperta del presidente Carlo Teardo pone le sue domande a tutti i partiti politici, pronta a confrontarsi con tutti e a sostenere chi sosterrà e sue richieste con risposte soddisfacenti al settore, falcidiato da una moria crescente e allarmante di imprese. La FIMA intende sensibilizzare il mondo politico italiano sulle principali problematiche che hanno penalizzato il settore ostacolando l’equilibrato sviluppo dello stesso rispetto ad altri significativi comparti imprenditoriali. Non ci riferiamo all’attuale crisi economica, che di fatto sta mettendo in ginocchio la nostra professione, ma agli ostacoli burocratici che da decenni si abbattono sul mondo antiquario che, al contrario, è fortemente impegnato nel recupero e nella salvaguardia dei beni culturali, anche attraverso acquisizioni dal mercato estero. In passato sono stati istituiti, a livello ministeriale, tavoli di consultazione di fatto decaduti senza approdare ad alcun risultato. Con il 3° Convegno degli Antiquari svoltosi a Milano nel maggio scorso, FIMA ha riunito rappresentanti istituzionali, esponenti politici, sovrintendenti ed operatori per fare il punto della situazione, analizzare le criticità del sistema, individuare possibili soluzioni per scongiurare il rischio di annientare il settore composto da professionisti onesti e corretti, aumentando di contrasto la pletora di clandestini e di operatori che speculano nel mercato dei beni culturali. In breve le richieste della categoria sono lineari nella loro complessità di intervento:
Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs n. 42 del 2004) e le successive modifiche (D.Lgs n. 156 del 2006, D.Lgs n. 62/63 del 2008), pur presentando degli elementi innovativi rispetto al Testo unico del 1999, mantengono posizioni ritenute penalizzanti dagli operatori, oltre che obsolete rispetto all’evoluzione che ha interessato il settore. Appare insufficiente la definizione di “bene culturale” indicata nel Codice e basata sull’età del bene (più di 50 anni). Sarebbe opportuno innalzare l’età del bene almeno a 70 anni come è avvenuto per gli immobili di proprietà pubblica (decreto legge sullo sviluppo D.L. 13 maggio 2011 n.70 convertito in legge n 160 del 12 luglio 2011). Inoltre, andrebbero stabilite regole per differenziare le opere d’arte e d’antiquariato dalla massa di oggetti non rilevanti. Dovrebbe, quindi, essere introdotto il concetto di “opera di valore artistico non strategico per il patrimonio nazionale”. Dovrebbe essere accettato e diffuso il concetto di “valore esiguo”, già acquisito da molti comuni italiani, in base al quale si esenta l’antiquario dalla registrazione delle operazioni di vendita nel registro dei beni antichi ed usati, per tutti gli oggetti di valore economico scarsamente rilevante, al di sotto di un determinato prezzo di riferimento (es. euro 250,00 piuttosto che euro 500,00). L’antiquario italiano, a differenza del collega europeo, si trova a dover operare in un mercato globale vessato da norme che penalizzano la circolazione dei beni, da estenuanti procedure burocratiche e da gravose imposte. L’applicazione integrale del Codice tende quasi a paralizzare le operazioni di importazione e di esportazione (anche nel caso delle “temporanee”): sono richiesti moduli, fotografie, spostamento fisico delle opere, tempi eccessivi per l’ottenimento dei permessi e delle autorizzazioni, ecc. L’Italia è meta di turisti spesso disposti all’acquisto di beni d’antiquariato: tale volontà viene mortificata e spesso bloccata dall’impossibilità di possedere all’istante l’oggetto acquistato (devono trascorrere almeno 40 giorni per il rilascio del certificato di libera circolazione). Necessità di velocizzare le procedure di libera circolazione dei beni: si potrebbero inviare le fotografie delle opere di valore inferiore a quanto stabilito dall’art. 2 del decreto 15/09/2009 n. 95 e, se richiesto da parte della Soprintendenza, far visionare le opere attraverso una collaborazione sinergica con i funzionari e la conseguente loro visita nelle gallerie per tutti i beni poco agevoli da trasportare (mobili, tele ingombranti, specchiere, ecc.).. Inoltre il periodo di completamento della pratica non dovrebbe superare i 10/15 giorni.
In conclusione, FIMA chiede che, accanto alla tutela del bene culturale, sia garantita la sua valorizzazione per consentire al mercante d’arte di “non essere strozzato” da leggi e leggine che ne ostacolano l’attività rispetto al collega europeo. Solo sburocratizzando le pratiche che soffocano l’attività si potrà arrivare ad una concorrenza leale e professionale tra operatori dell’arte a tutto vantaggio del consolidarsi di un mercato trasparente e realmente concorrenziale per il fruitore finale. FIMA auspica l’attivazione del tavolo di confronto tra le parti anticipato dal Sottosegretario Roberto Cecchi nel corso del Convegno FIMA.