La Repubblica - Firenze. 21 maggio, Mara Amorevoli - Soprintendenti «marchettare». Cristina Acidini non ci sta. Non manda giù il colorito epiteto speso dall´assessore alla cultura Giuliano da Empoli. «Lo dimostri. Non ho avuto alcun tornaconto. Farò vedere le sue dichiarazioni al mio avvocato». La soprintendente risponde al telefono da Mosca, dove si trova per presentare la mostra al Cremlino sul “Tesoro dei Medici”. Non si stupisce più di tanto sul tono. Quasi ci fosse abituata. La ruggine tra i vertici del Polo museale e quelli di Palazzo Vecchio è cosa nota. Ora riesplode, dopo il drastico giudizio di condanna pronunciato l´altro ieri dall´assessore contro gli «energumeni» -sculture esposte in Piazza Pitti, preludio alla mostra ANTICOnforme dell´artista. Acidini precisa che «la mostra delle sculture di Rabarama è un´operazione condotta insieme alla soprintendenza ai monumenti, in un clima di collaborazione». E aggiunge: «Ho autorizzato la concessione per esporne alcune a Boboli, nell´anfiteatro e nel “pratone del castagno”, luogo quasi deputato alla contemporaneità, dove si trovano già i lavori di Hans Holba e l´Icaro di Igor Mitoraj». Alessandra Marino, soprintendente ai monumenti a Palazzo Pitti, è in ferie per qualche giorno. Ma delega a rispondere Fulvia Zeuli, funzionaria responsabile delle Pagliere, altro spazio “contagiato” dalle grandi sculture. «Non c´è stata alcuna raccomandazione - sostiene Zeuli - E non vogliamo polemizzare con l´assessore Da Empoli. Abbiamo ricevuto al proposta dell´esposizione, ci è sembrata un valida sperimentazione, tanto più che non altera l´aspetto delle città. Alle Pagliere e a Pitti hanno già esposto altri artisti, come Roberto Barni, Giuseppe Maraniello. E questa si inserisce nello stesso filone di cose già fatte. E che ben venga il dibattito, ci fa piacere che sia sollecitato. Ma smorziamo i toni». Ancora «stupita e allibita» dalla bordata dell´assessore, l´artista Paola Epifani, in arte Rabarama («nome esotico che nasconde una pratica molto italiana: “la marchetta”» ha dichiarato Da Empoli) ripercorre gli antefatti. «Mesi fa ho chiesto i permessi per la mia mostra sia al Comune che alla soprintendenza. Volevo esporre a Firenze, terra di Michelangelo, otto nuovi marmi monumentali inediti a cui ho lavorato. Avevo chiesto il permesso per piazza Santa Maria Novella, Piazza della Repubblica e altri luoghi in città. Il Comune non mi ha mai riposto, mentre la soprintendenza ha accettato. Ho sollecitato una risposta da Palazzo Vecchio: dovevo organizzare camion, trasporto delle opere, il tempo stringeva. Infine ho mandato un mio collaboratore che per due giorni ha piantonato l´assessore in ufficio, e non è mai stato ricevuto. Bastava un semplice “no grazie, abbiamo altri programmi”. Sarebbe bastato, non è tenuto a conoscere il mio lavoro, anche se su Google è documentato». Quello che non va giù a Paola Epifani è «il linguaggio da scaricatore di porto». La «marchetta» appunto. Prosegue: «So benissimo che le mie opere non piacciono a tutti, l´arte contemporanea ha vari filoni e l´arte classica fa parte del mio patrimonio genetico. Questione di gusti, certo. Ho sculture permanenti collocate a Reggio Calabria, ricevo ancora complimenti. Sa cosa penso a questo punto? Che la vicenda si ritorce contro l´assessore Da Empoli. Quanto me, è tutta pubblicità, non mi preoccupo. Mi ha messo un occhio di bue addosso. Ma che caduta di stile la sua. Nessuno mi ha mai trattato in questo modo». Rabarama respinge nettamente di «essere raccomandata». Afferma di «non voler perdere tempo in beghe legali». «Mi sono consulta con un avvocato, ma trovo ridicolo imboccare questa strada. Proseguo per la mia - osserva-E spero di non incrociare più Da Empoli. Né a Padova, né a Saint-Tropez, dove vivo e porto passeggio i miei cani». Quanto al suo lavoro, Rabarama è attiva nella scena dell´arte da 15 anni. Figlia d´arte (anche il padre è scultore), si colloca sulla scia di artisti come Botero, Pomodoro, Vangi («grandissimo artista che ammiro molto» afferma), prediligendo forme classiche, di facile approccio con il pubblico. E quel nome d´arte, da dove arriva? «E´ un fatto privato, non volevo usare quello di mio padre. In sanscrito “Raba” vuol dire segno, e “Rama” è il nome della divinità. Ecco, Rabarama vuol dire “segno divino”» conclude citando richiami a lingue esoteriche. Sul valore artistico dei suoi colossi di marmo, bronzo e acciaio, dall´epidermide tatuata di segni colorati e scritture, risponde Luca Beatrice, il critico d´arte che cura la rassegna fiorentina. «Rabarama non si colloca sulla linea di avanguardia, ma di comunicazione diretta con il pubblico. E´ gradevole, accompagna bene lo spazio urbano, come Botero e Mitoraj. Certo, concordo non è Camille Claudel, che poi è meno nota e importante di Rodin. Ma spetta sempre al pubblico decidere. Lasciamo che le cose accadano… Perché l´arte non è solo per i critici d´arte: è per tutti»