GIOVANNI TIZIAN: L’INCHIESTA SULLE SLOT MACHINE SU GOTICA E LE MINACCE DEL BOSS

Redazione EosArte · January 24, 2013

 “O la smette o gli sparo in bocca”. Queste la parole del boss che voleva uccidere Giovanni Tizian, giornalista e scrittore che, dopo l’uscita di Gotica. ‘ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea (2011, Round Robin editrice), è stato costretto a vivere sotto scorta per le sconcertanti rivelazioni sul gioco d’azzardo e il dominio dei clan nel Nord Italia. Voto di scambio, corruzione elettorale, acquisizione societarie tramite usura, pizzo camuffato da servizi alle imprese, droga, incendi e minacce. Epifenomeni di un virus letale che dalla periferia Sud dell’Italia ha risalito la penisola, con uomini, mezzi e risorse. Un esercito che corrompe, paga, esige. E quando è necessario spara. Benvenuti a Gotica, oltre la linea della Resistenza. Un viaggio che attraversa il nord fino ad entrare nel suo midollo più oscuro e controverso, quello dominato da ‘ndrangheta, mafia e camorra. Sulla locomotiva economica del Paese anche i clan hanno trovato spazi di trattativa. E aldilà degli appennini tosco-emiliani, politici e imprenditori corrotti che si nutrono del potere dei clan restandone poi fagocitati. Il sistema non fa sconti, non esistono padroni fuori dalle “famiglie”. Una testimonianza portata in prima persona da un cronista di origine calabrese che vive a Modena ormai da anni. Da quando nell’estate del 1989 a Bovalino, nel cuore della Locride sovrastata da San Luca e Platì , un giovane bancario integerrimo e onesto veniva ammazzato a colpi di lupara mentre tornava a casa. Un omicidio come tanti, in Calabria, che resterà sostanzialmente irrisolto. Quell’uomo era suo padre. Questa storia parte da lì. Inizia così il quarto capitolo di Gotica, dal titolo Casinò Clan … Una manovella a cui si affida il proprio futuro. Nel mondo della precarietà globale sempre più donne e uomini gettano metà delle loro giornate davanti a una slot machine. Il gioco d’azzardo è stato legalizzato. Disoccupati, operai, pensionati, studenti. La macchinetta non rifiuta nessuno, è un aggeggio infernale e trasversale che ha bisogno di una concessione dei monopoli di Stato per essere attivato legalmente. Macchinette di sogni, per chi sogni non ne può più avere. Personalità deboli, arrendevoli, che, al terzo giro di slot machine, diventano ancora più fragili e dipendenti da quella che per loro assume la sostanza di unica e certa garanzia di un ipotetico avvenire migliore. Giocano senza tregua, sembrano, a tratti, posseduti da uno spirito dell’azzardo. Perdono anche mille euro al giorno. E tornano nelle loro case in uno stato peggiore di come ne sono usciti la mattina. Dopo dieci ore di cantiere, cinque ore di macchinette, magari per arrotondare e comprarsi un “pezzo di bamba”, la bustina di cocaina. Li guardo mentre sorseggio la birra che il mio amico barista mi ha servito al tavolo. “Ma quante ore passano attaccati a quelle macinatrici di soldi?- gli chiedo a bruciapelo”. Lui ride, è consapevole di quante persone rimangono incastrate tra quei meccanismi inconsci che portano il novello giocatore a divenire in poco tempo un player accanito. “C’è gente che passa giornate intere. Anche signore. Tante donne si piazzano la mattina ed escono la sera. Operai che finiscono il turno, muratori, si fermano ore e ore. E poi ci sono i furbetti che tentano con marchingegni elettronici di mandare in tilt la slot così da farle sputare i soldi all’impazzata”, mi risponde senza la minima emozione. Mi chiedo per quale motivo abbia messo quelle slot rumorose e fastidiose che non c’entrano neppure con l’arredamento del locale. Ma penso ad alta voce. E lui si fa serio. È preoccupato che qualcuno possa avere udito le mie sussurrate parole. Si avvicina al mio orecchio. “Dipendesse da me, nel mio locale quegli affari lì, non sarebbero mai entrati”, bisbiglia con un timbro che cela insicurezza. E capisco. Quel dipendesse da me, quella passività nell’accettare le imposizioni. Si chiama paura indotta, da chi detiene la forza e il potere intimidatorio. Si chiama mafia. Il mercato del gioco d’azzardo è in continuo aumento. Cinquantacinque i miliardi spesi nel gioco nel 2009, con un aumento del 28% nel 2010. Un business che non conosce crisi economica. Un po’ come le organizzazioni mafiose. E sono loro a fare la parte del leone in questa industria che produce speranza, da vendere a quanti la cercano. Dal primo maggio 2004, i tradizionali videopoker sono stati messi al bando. Ma fanno la loro comparsa sulla scena le slot machine o new slot. A cambiare sono state soltanto le cifre della dipendenza dal gioco d’azzardo legalizzato. In costante aumento. Molti non credono di esserlo, non è vista come patologia. Gli effetti sono tremendi. L’industria che immette sul mercato patologie da gioco cresce. E le mafie gonfiano i loro fatturati sulla disperata ricerca di fortuna dei nuovi miserabili. Arrivano su camion del clan. I locali sono scelti in precedenza, il gestore è un amico o una vittima dell’imposizione. La rete del traffico è vasta. Sicilia, Calabria, Campania. Un’associazione temporanea d’imprese tra organizzazioni mafiose. Restare unite, fintanto che i disperati possono essere munti. Fino all’osso, fino all’ultimo centesimo disponibile. Risale al 1995 l’invasione dei videopoker elettronici del clan nella provincia modenese. “I videogiochi”, li chiama Domenico Bidognetti, il collaboratore di giustizia che svelerà numerosi particolari sui movimenti del clan in terra emiliana.

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