I DOPPIATORI FANNO LA VOCE GROSSA CONTRO LAVORO NERO ED EVASIONE: “MERCATO ORMAI SELVAGGIO, SERVONO REGOLE E CONTROLLI”

Redazione EosArte · February 1, 2012

 Il Messaggero, dl Gloria Satta - Il doppiaggio fa la voce grossa. Mettiamo ordine in un settore dominato da irregolarità, approssimazione, evasione: è l’imperativo che guida il rinnovo del contratto collettivo degli attori italiani impegnati a dare la parola ai colleghi stranieri di cinema e tv. Sono un migliaio di professionisti, concentrati soprattutto a Roma, e stamattina si riuniranno al Teatro Arcobaleno per discutere sul futuro di una categoria che muove un business stimato tra i 60 e gli 80 milioni di euro all’anno. Nel doppiaggio, l’Italia è sempre stata all’avanguardia. Il grande cinema americano di James Stewart, Errol Flynn, Rita Hayworth, Greta Garbo venne introdotto da noi negli anni Trenta dalla virile voce di Gualtiero De Angelis e dal sublime birignao di Tina Lattanzi. Nei Sessanta-Settanta il pubblico ha imparato ad amare De Niro e Stallone grazie al talento di Ferruccio Amendola e si è invaghito di Woody Allen-Oreste Lionello. Oggi la gente conosce i doppiatori superstar come Roberto Chevalier che dà la voce a Tom Cruise, Francesco Pannofino che parla per Clooney, Luca Ward (Russel Crowe), Emanuela Rossi alter ego italiana di Nicole Kidman, Maria Pia Di Meo in tandem con Meryl Streep. Per non parlare di Giancarlo Giannini, da sempre voce italiana di Al Pacino. L’industria del doppiaggio, che sopravvive malgrado la crisi, tuttavia è tenuta in piedi da centinaia di attori meno conosciuti che rendono commerciabili film, fiction, soap, cartoon. E tra le rivendicazioni della categoria c’è l’adeguamento economico all’attuale costo della vita. «Ma l’aumento della paga non è la nostra battaglia principale, anche se rappresentiamo manodopera altamente specializzata che ottiene ricavi minimi rispetto agli utili che produce», afferma Danilo De Girolamo, leader dell’Anad, l’associazione in cui si riconoscono 300 doppiatori. «Noi pretendiamo innanzitutto trasparenza e controlli in un settore che lascia troppo spazio al lavoro nero, all’evasione contributiva e fiscale». Per una ventina di imprese stimate che pagano la previdenza e le tasse (solo alcuni tra i nomi più noti: Pumais, Cdc Sefit Group, Cast, Video-sound, Technicolor Sound, Juppiter, Logos, Merak Film, Studio PV…), ne esistono più del doppio che, scavalcando le regole, possono permettersi di offrire prezzi stracciati. Doppiare un film medio costa trentamila euro? Chi lavora in nero ed evade i contributi può fornire il prodotto a dieci-dodici. «Si tratta di concorrenza sleale in un mercato che è diventato selvaggio», insorge Dario Viganò, presidente delle industrie tecniche dell’Anica e titolare dello Studio PV. «Noi imprenditori siamo al fianco dei doppiatori nel chiedere il rispetto delle regole. E prezzi fissati per smascherare il mondo sommerso che prospera grazie alla scorrettezza di certe imprese e alla connivenza di lavoratori poco onesti. Quanto all’aumento delle tariffe, chiediamo di considerare questo momento difficile in cui tutti dobbiamo fare sacrifici. Pretese esagerate porterebbero molte società a chiudere». Che vadano esercitati controlli ferrei è d’accordo anche Maurizio Ancidoni, ad di Cdc Sefit Group con studi in via Margutta. «Bisogna assolutamente mettere ordine in un settore in cui la deregulation regna sovrana», afferma. Mentre molte aziende denunciano un nuovo pericolo: la diffusione dei broker che s’inseriscono tra società di doppiaggio ecommittenti (grandi distribuzioni, reti tv) garantendo il prodotto finito, con conseguente contrazione dei prezzi. Ma quanto guadagna un doppiatore? Difficile fare i calcoli: alla paga base di 95 euro lordi per un turno di tre ore va sommato il numero di righe da recitare che varia da film a film, da fiction a fiction. Un professionista collaudato arriva a 300 euro lordi per tre ore, mentre i big possono aggiudicarsi, grazie ai contratti ad personam, dieci-quindicimila euro a film (una settimana o poco più di lavoro). In discussione in questi giorni c’è anche la possibilità che i doppiatori si accordino direttamente con i distributori cinematografici e con le tv. «E’ un’ipotesi giuridicamente impraticabile», osserva Ancidoni, «senza pensare che i nostri committenti non hanno nessuna voglia di occuparsi di doppiaggio. Il lavoro lo vogliono chiavi in mano, ed eseguito a regola d’arte»

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