di Giuseppe Ussani d’Escobar - Nello sfogliare il catalogo corposo e ricco di informazioni su Dosso Dossi pittore ferrarese e rinascimentale dal grande immaginario poetico, fantastico e favoloso, mi sono soffermato sulle radiografie del suggestivo olio su tela dell’artista: “ Melissa” (olio su tela cm 176 x 174). Sono rimasto subito colpito dalla figura di uomo che compare come per incanto negli esami scientifici e che viene definito dalla critica: “un soldato”, “un cavaliere”, probabilmente Astolfo, trasformato da Alcina, la maga crudele, in mirto e che poi recupera le fattezze umane grazie proprio alla bella Melissa che gli restituisce le sue armi (Anna Coliva). Per altri critici, tra cui Maurizio Calvesi, la donna vestita di sontuose sete esotiche è in realtà la Circe dell’Odissea, che trasformò i compagni di Ulisse in animali, alla cui magia egli si sottrasse grazie ad un erba magica, procuratagli da Hermes.
Tenendo in dovuta considerazione che certamente Ariosto s’ispirò nel creare la figura di Alcina e Melissa al Poema di Omero, difatti sdoppiò la figura di Circe in due maghe, l’una Alcina negativa e l’altra Melissa positiva, considerando quasi in chiave psicanalitica la Circe dimorante in se due nature contrapposte ed in continua lotta; ed inoltre Circe si trova a vivere su un isola, come Alcina e Melissa; Circe trasforma gli uomini in animali, come d’altra parte fa Alcina e Circe restituisce le sembianze umane ai malcapitati come non fa Alcina, ma lo fa in sua vece Melissa. L’isola è il simbolo del non luogo, dell’utopia, del sogno, dove tutto può accadere anche l’impossibile e l’inverosimile. Se entriamo in questo concetto aperto, privo totalmente di recinti razionali e logici, seguendo in questo la pura e libera fantasia tematica e pittorica di Dosso, che dipingeva improvvisando, ma altresì imbevuto della cultura umanistica e rinascimentale del tempo, estremamente libera nell’uso dei simboli e nella sovrapposizione dei loro significati, allora siamo autorizzati ad immaginare che la donna da lui raffigurata rappresenti ed incarni entrambe Circe e Melissa, e perché non anche Alcina?! Forse la maga ha il volto di una donna in carne ed ossa, da lui effettivamente conosciuta ed amata che l’aveva prima stregato e poi amato, nel caso di Ulisse dandogli anche dei figli. L’amore è sentimento autentico e profondo quando passa attraverso la trasformazione degli animi, attraverso la metamorfosi, consentendo alla fin fine di vedere ed immaginare realtà invisibili ad occhio nudo o che comunque erano sotto i nostri occhi e delle quali non ci accorgevamo. Per gli stessi motivi, che mi inducono a pensare alla compresenza di tre figure femminili nella Melissa, Astolfo porta anche in se Ulisse, l’eroe omerico si è così incarnato nel Paladino. Ma chi è veramente la figura che appare e scompare ai nostri occhi per puro incantesimo? Si può certamente affermare che sia un uomo compiaciuto dall’incontrare lo sguardo di Melissa/Circe/Alcina.
L’impostazione dell’uomo stante davanti alla seducente maga ricorda “Eracle in riposo” copia da un originale greco del grande scultore Lisippo, che mostra l’Ercole al termine delle sue fatiche, con i pomi delle Esperidi nella mano nascosta dietro i fianchi. Credo sia possibile che Dosso abbia conosciuto questo modello greco attraverso le numerose copie esistenti di età romana, tra le quali molte di età adrianea, od anche abbia potuto ammirare la scultura gigantesca dell’Eracle in riposo, con la testa ritratto di Commodo, che ora si trova a Firenze, a Palazzo Pitti nel Cortile, e che era stata scoperta a Roma sul Palatino nel 1540, già conosciuta ed apprezzata da Michelangelo alla quale s’ispirò in quegli anni per il suo San Giovanni nella parte superiore del Giudizio Universale. Considerando inoltre l’ammirazione che Dosso aveva per Michelangelo sarebbe possibile che l’artista del nord fosse stato influenzato dalla visione di tale modello: in tal caso la realizzazione della Circe/Melissa andrebbe posticipata nel tempo. Ma prendendo in considerazione le molte riproduzioni romane dell’originale greco, si potrebbe assumere perfettamente che la data di esecuzione della tela rimanga la stessa finora sostenuta, ovvero il 1515/16. Ma nel contempo la figura dell’Ercole potrebbe perfettamente collegarsi al suo omonimo Ercole II d’Este, che faceva di tutto per essere associato, nell’immaginario colto, al semidivino eroe greco, tanto che in “Ercole e i Pigmei” del 1535 (olio su tela cm 114 x 146,5) del museo di Graz, l’eroe risulta essere un ritratto del Duca. Anche nell’altra tela del 1540/42 “Allegoria di Ercole (o Stregoneria)” della Galleria degli Uffizi di Firenze (olio su tela cm 144 x 143) si vorrebbe che l’anziano Eracle in primo piano faccia riferimento ad Ercole II d’Este. D’altra parte Ercole era già erede del trono del padre Alfonso I d’Este in forma non ufficiale prima del 1534, quindi rimane aperta la possibilità di spostare leggermente in avanti la data di realizzazione della “Melissa” rispetto a quella fin adesso accettata concordemente da più parti. D’altra parte nel 1535 Dosso lavora alla decorazione delle Camere Nuove di Corte, fatte costruire dal Duca nell’ edificio adiacente la Via Coperta, e sulla facciata esterna delle stanze dipinse un ciclo sulle fatiche d’Ercole. In fondo si continuava così la tradizione di famiglia, Alfonso si riconosceva in Laocoonte ed in Vulcano e perché Ercole non avrebbe dovuto rivestire i panni di Eracle? Si potrebbe obbiettare che la robusta figura delle radiografie mostra il ginocchio sinistro piegato in avanti che si va a sovrapporre alla gamba destra, e quindi non coinciderebbe con il modello dell’ “Eracle in riposo” od anche “Eracle Farnese” che ebbe una vastissima fortuna, ma non si può non prendere in considerazione la libera fantasia di un artista nel reinterpretare i modelli iconografici antichi; a titolo di esempio Benedetto Pistrucci, certamente in un epoca diversa, nella prima metà del XIX secolo, eseguiva, in cera rosso-bruna su un ardesia rettangolare, l’Ercole che si rifaceva liberamente all’ “Eracle in riposo”: In questo particolare caso il ginocchio destro era piegato in avanti sulla gamba sinistra. La libertà inventiva negli schemi classici faceva parte del gioco serio dei simboli. Mettiamo l’ipotesi che il fantasma che appare davanti ai nostri occhi stupiti sia effettivamente Ercole II, allora Melissa potrebbe essere una donna amata dal Duca? A questo punto si potrebbe anche pensare per capricciosa ipotesi che una volta che il Duca avesse visto la tela nel laboratorio di Dosso ancora in fase di realizzazione, probabilmente avanzata, (poiché come sostiene Anna Coliva: “la figura era stata portata ad un avanzato grado di rifinitura e per la sua eliminazione fu necessaria una nuova stesura preparatoria a biacca”, ed inoltre risulta “che lo spazio era stato scandito per immettervi due figure unite tematicamente”), abbia suggerito all’artista di nascondere la sua immagine sotto la coltre del colore, al fine di non rivelare apertamente la sua passione per la donna, e così sia rimasto a far bella mostra di se unicamente il ritratto di lei, con lo sguardo sospeso, perduto nello spazio, senza più trovare la magica corrispondenza di sguardi. Non riesco sinceramente ad essere d’accordo sulla tesi della volontà dell’artista di evitare un eccessivo affollamento di figure in primo piano, di voler lasciare lo spazio libero dove il paesaggio vive una comunione panica con Melissa, creando un inedito equilibrio meraviglioso e quasi soprannaturale, a questo proposito basti prendere in esame i “Santi Cosma e Damiano”(cm 225 x 157) del 1520/22 sempre della Galleria Borghese di Roma, che ha più o meno le stesse misure della Melissa, dove la scena si può ben definire sovraffollata e questo non toglie alcun fascino all’opera che peraltro non lascia sguardi sospesi o bruscamente interrotti. Inoltre nelle tele di Dosso sembra regnare una logica interna, difatti nonostante egli possa ben vantare una fantasia pittorica felicemente libera all’improvvisazione, gli sguardi non rimangono persi nell’aria, a meno che non vi sia una chiara ragione, come nel magnifico “Apollo” (olio su tela cm 191 x 116) del 1524 che ha perso Dafne, della Galleria Borghese di Roma. Ed in genere se viene a mancare una figura dalla stesura originale la sostituisce con altra. Nella Melissa/Circe vi è qualcosa d’insolito e misterioso, che non è unicamente connesso al mondo incantato che circonda la maga e che lei determina, nei suoi occhi vi è il rapimento dell’anima e l’estasi dell’amore che trovo anche negli occhi dell’Apollo dove la grande assente è Dafne, ma per quest’ultimo vi è una motivazione chiara: Dafne si è trasformata in alloro e non potrà essere sua.
Nel caso di Melissa non vi è alcuna giustificazione plausibile perché dalla scena debba scomparire la persona amata, l’unica ragione che mi attraversa il pensiero è la ferma determinazione di Ercole II d’Este a non voler rivelare pubblicamente il suo amore, e così lui decide di scomparire ma di lasciare lei che continua a godere dell’amore del Duca nell’invisibilità dell’arte, della poesia e del sogno. Così i tre personaggi possibili sono legati da un magico destino comune: Ulisse è salvato da Circe che s’innamora di lui, Astolfo è salvato da Melissa che gli restituisce le umane forme ed Ercole II è salvato dalla bella dama, per ora sconosciuta, che per sempre lo amerà nel segreto del colore, poiché anch’egli ha raggiunto la sua isola felice, esattamente come Ulisse ed Astolfo, ed ivi ha trovato la magia e la libertà della fantasia e del sogno. Bibliografia 1)Dosso Dossi, pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento, Catalogo della mostra tenutasi in tre sedi, Peter Humfrey e Mauro Lucco, contributi di Andrea Rothe, Andrea Bayer, Dawson W. Carr, Jadranka Bentini e Anna Coliva, a cura di Andrea Bayer, Ferrara Arte, Civiche Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara 26 settembre – 14 dicembre 1998, The Metropolitan Museum of Art di New York, The J. Paul Getty Museum di Los Angeles; 2)Lisippo, l’arte e la fortuna, progetto di Paolo Moreno, Fabbri Editori 1995;