IL MERCATO DELL’ARTE: LA GRANDE CRISI ITALIANA

Redazione EosArte · February 11, 2013

 da http://www.ilcollezionistain.it/curiosita0113.htm, di Giuseppe De Rosa * [email protected] La nuova entrata in funzione del discusso redditometro potrà forse ridurre il fenomeno dell’evasione fiscale, ma contribuirà certamente ad aggravare la crisi di vendite di cui soffre il mercato dell’arte italiano, una crisi poco nota e accentuatasi soprattutto in quest’ultimo anno. Si enfatizzano ancora i 120 milioni di dollari pagati nel 2012, a New York, per L’urlo di Munch; si riporta sui giornali con provinciale monotonia l’elenco dei dipinti più costosi del decennio, ma non si parla affatto delle serie difficoltà in cui versa in Italia il mercato artistico, un settore economico che coinvolge migliaia di addetti, molti dei quali hanno già perso il lavoro ad inizio 2013 o sono in procinto di perderlo. Non se ne parla sui principali mezzi d’informazione e ci si dimentica che l’arte costituisce per un ingente numero di persone la principale ed unica fonte di guadagno. Artisti, mercanti, galleristi, restauratori, corniciai sino ai più umili lavori di facchinaggio e trasporto sono coinvolti, loro malgrado, in questa fase di profonda recessione economica che il nostro paese attraversa ormai da qualche anno. Una crisi grande e ’schizofrenica’ che sembrerebbe risolversi (all’apparenza) sul piano finanziario, ma aggravarsi viceversa sul versante sociale e del lavoro che si perde oppure non si riesce a trovare. Sembrano lontanissimi i favolosi anni Ottanta, quando in Italia il mercato dell’arte pareva espandersi in una crescita senza fine, ingenuamente influenzato dai record in milioni di dollari stabiliti dai ricchi compratori giapponesi, che si aggiudicavano dipinti di Van Gogh o degli impressionisti a cifre da capogiro. Una crescita finita bruscamente nel biennio 1991-92 quando vennero meno i miliardi di yen del celeste impero e si scoprì che molti dei super-prezzi spesi nelle aste di New York e Londra scaturivano da un’ingiustificata euforia speculativa la quale avrebbe prima o poi scontato l’amaro prezzo della cocente delusione. Da allora ad oggi il mercato artistico italiano ha continuato nell’alternanza a fisarmonica della contrazione e della ripresa come per gli altri settori finanziario-borsistici; tuttavia le brusche fasi recessive nel commercio di opere d’arte sono sempre state accompagnate da motivazioni ad esso peculiari. In particolare fattori d’ordine psicologico e non di rado irrazionali caratterizzano il nostro mercato artistico che ha sempre avuto dimensioni ridotte e lontane anni luce dai giganteschi fatturati internazionali. Le distanze con America e Inghilterra si sono poi accentuate per l’ingresso dei nuovi ricchissimi collezionisti russi, cinesi, arabi, indiani e brasiliani. La Cina - in particolare - è ormai vicina a stabilire i nuovi record di vendita nelle aste di Hong Kong dove le opere dei più famosi pittori cinesi ottengono prezzi analoghi a quelli di Picasso o Modigliani. In Italia, invece, l’ultimo triennio ha segnato la discesa progressiva di quotazioni che sembravano ormai irreversibili; per cui basterebbe sfogliare i cataloghi delle tante (troppe) aste nazionali per scoprirvi un lungo elenco d’invenduti o prezzi d’aggiudicazione che, in alcuni casi, sembrano fermi a vent’anni fa. Fra i principali motivi della crisi va certamente inclusa la restrizione del credito bancario che ha costretto numerose gallerie d’arte a chiudere i battenti per scarsa liquidità nonostante avessero i magazzini pieni di quadri. Restrizione che ha colpito anche molti collezionisti, negandogli l’opportunità d’acquisire nuove opere d’arte. Inoltre si è avuta la dispersione forzata di troppe collezioni con l’eccessiva offerta di opere che ha spesso provocato un ridimensionamento dei prezzi anche per artisti da tempo storicizzati. In questi casi si è verificata probabilmente la cosiddetta regola delle “tre D”: decesso, debito, divorzio. Alla morte di un collezionista importante gli eredi vogliono monetizzare in fretta senza alcun riguardo per la dedizione con cui il legittimo proprietario (defunto) ha realizzato negli anni il suo piccolo museo privato. Ne consegue che la svendita affrettata influenza negativamente il mercato deprimendo le quotazioni di questo o quell’artista le quali possono scendere rapidamente da una stagione all’altra. Un tracollo finanziario, la richiesta di un rientro bancario - oggi assai frequente - possono costringere un (ex) facoltoso industriale o imprenditore indebitato a disfarsi sottocosto di magnifiche opere d’arte, acquistate a suo tempo con passione e a caro prezzo. Un divorzio o una separazione conflittuale provocano talvolta la rapida dispersione d’intere collezioni che si preferisce svendere pur di non farle acquisire al 50% dall’odiato ex coniuge, magari insensibile al fascino di un dipinto o di un bel disegno d’autore. In serie difficoltà è anche il prestigioso settore dell’antiquariato, sempre trascurato dall’informazione giornalistica e televisiva che preferisce dilungarsi sulle banalità del gossip o le sterili beghe dei politici nostrani. Eppure quanta fatica, passione e preparazione specialistica sono indispensabili per esercitare seriamente la complessa professione dell’antiquario, il cui mercato è forse quello maggiormente penalizzato in questo momento di grande crisi. Come per l’arte moderna e contemporanea, anche l’antiquariato sconta innanzitutto l’impoverimento delle classi medie. Un impoverimento senza precedenti di quella piccola e media borghesia italiana che - per capacità di spesa e conoscenze culturali - ha sempre costituito il principale serbatoio di provenienza del collezionismo più diffuso. Almeno di quello medio-basso dai 500/1.000 ai 5.000/10.000 euro che rappresentava la maggioranza silenziosa dei compratori, costretti ora dalle circostanze ad eliminare gli acquisti non strettamente necessari. Per l’esercizio della professione antiquaria va anche detto che un’ulteriore difficoltà scaturisce dalla gestione stessa del negozio: pesanti mobili, statue e arredi, arazzi e dipinti antichi necessitano di un costoso supporto di personale. Trasportatori, magazzinieri, restauratori costituiscono per l’antiquario un esborso supplementare rispetto alle spese di un collega gallerista che tratta solo opere di ridotte o medie dimensioni dalla logistica strumentale meno impegnativa. Ovviamente coloro che contrattano sul più ricco mercato internazionale e con una clientela dal reddito elevato (che non conosce mai crisi) continuano a vendere senza problemi gli oggetti più pregiati, costosi e storicamente significativi. Tuttavia ciò che sempre si ripete nel nostro bel Paese - anche nei momenti di grande crisi - è il disinteresse dello Stato per le arti d’ogni tipo e d’ogni epoca. Si dirà che lo Stato si è sempre occupato poco persino dei suoi Beni artistici ed architettonici, non di rado lasciandoli rovinare e pagando malissimo i propri direttori museali o i sovrintendenti regionali. Come ci si potrebbe, quindi, aspettare un aiuto delle istituzioni pubbliche verso il gran numero di mercanti d’arte, galleristi ed antiquari privati? Basterebbe agire sulla leva fiscale agevolando un settore in difficoltà e destinato all’inevitabile decimazione. Cambiando anche le severe leggi sull’esportazione che praticamente limitano la circolazione al solo mercato interno delle opere d’arte con più di 50 anni d’età e per le quali si presume un interesse storico (raramente giustificato). In pratica il nostro mercato dell’arte è costretto perennemente a restare entro i limiti di una dimensione asfittica e provinciale, nella quale anche i più famosi artisti italiani restano ben al di sotto dei valori finanziari stimati in campo internazionale. Per tutti basterebbe citare il grande successo che ottengono a Londra le vendite all’asta dedicate all’arte italiana del Novecento, dove non solo ci si contende l’aggiudicazione di un Fontana o di un De Chirico, ma capita che quel dipinto sia venduto a milioni di sterline, un prezzo altissimo che mai avrebbe ottenuto in patria.

  • prof. Giuseppe De Rosa perito d’Arte moderna e contemporanea del Tribunale di Pordenone

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