Il 21 maggio 2013 si è celebrato il quarantesimo anniversario del restauro della Pietà di Michelangelo. di Valeria Ottaviano -
L’archeologo Pietro Zander ricorda il viaggio che la Pietà compì nel 1963 duranto il pontificato di papa Paolo VI. L’opera fu fatta imballare da due casse, una esterna inaffondabile e una interna riempita di palline di polistirolo (il massimo della tecnologia offerta per l’epoca) e collocata su un’Ape, portata fino a Napoli e poi da lì imbarcata sulla nave Cristoforo Colombo verso gli Stati Uniti. Questo viaggio aumentò la notorietà della Pietà. Al rientro il Papa esclamò: “felici che sia tornata” stabilendo che non si sarebbe più spostata dalla Basilica. Il 21 maggio 1972, Laszlo Toth, mescolato tra la folla si allontanò e scavalcò improvvisamente la balaustra e colpì con dodici martellate la figura di Maria sfregiando il volto, il braccio e causando gravi danni anche alla mano. Fu un evento che destò sconcerto da parte di tutti, credenti e non perché nessuno riusciva a darsi una motivazione della distruzione di un’opera che già Vasari nella prima edizione delle Vite del 1550 definì: “ E’ un miracolo che un sasso, da principio senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezione che la natura a fatica suol formare nella carne”. Proprio per questo motivo l’equipe dei Musei Vaticani composta da F. dati, U. Grispigni, D. Redig De Campos, F. Vacchini, V. Federici. G. Morresi e N. Gabrielli (l’unico sopravvissuto) fece un lavoro certosino con un intervento di restauro integrale, nel quale si volle riportare alla luce l’opera in tutta la sua bellezza ricomponendola con la raccolta dei frammenti della Pietà. Il restauro fu possibile grazie ad una copia.
Il restauro ripreso in un film documentario intitolato “La violenza e la pietà” da Brando Giordani per i servizi culturali della RAI e in coproduzione con la SD cinematografica, fu consegnato al mondo per testimoniare la vicenda; non voleva essere un documentario di tipo scientifico ,ma dare un elevato significato storico-artistico e spirituale dell’opera. Inizia con la raccolta dei frammenti della Pietà e la documentazione fotografica eseguita prima, durante e dopo il restauro; prosegue passando per fasi tematiche come l’uso del mastice per unire i frammenti dispersi, l’uso del nastro adesivo per levare dal marmo il blu lasciato dai colpi di mazzetta, gli impasti serviti per la ricostruzione delle protesi e conclusosi poi con il restauro del volto di Maria e la reintegrazione di tutti i frammenti. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani affermò che “Cesare Brandi, il fondatore dell’Istituto di Restauro che sovrintendeva all’opera, con la reintegrazione della Pietà accettò di contraddire i suoi stessi principi” in riferimento ai mezzi usati per restaurare l’opera. Nel film documentario compare la continuità tra l’iconografia della Pietà michelangiolesca e quella delle nuove pietà, le tanti madri addolorate che tengono tra le braccia i figli morti a causa della violenza e catapulta l’opera d’arte nella crudeltà del mondo contemporaneo. Anche Piero Badaloni, volto della RAI, partecipò anche se in maniera marginale alla realizzazione del film esaltando il lavoro di Giordani, capace di impostare il montaggio, con un linguaggio reso semplice e comprensibile e con una musica adatta a coinvolgere come quella dei Pink Floid. Il restauro è talmente perfetto che è difficile notare la differenza tra prima e dopo il restauro. I fedeli possono di nuovo ammirare la bellezza della Pietà nella Basilica di S.Pietro.