“Gli aspetti che legano l’arte all’economia sono sempre più vasti e complessi: è possibile cogliervi una moltitudine di sfumature che vanno da considerazioni di natura prettamente economica a quelle di natura giuridica e fiscale. Il “sistema arte” se adeguatamente sviluppato e valorizzato potrebbe rappresentare un’incredibile opportunità di crescita in termini di occupazione e di reddito, purtroppo però questo non sempre accade. Ne è un esempio il nostro Bel Paese. Quanto questo comparto sia sotto considerato nel territorio nazionale risulta chiaro dal fatto che il primo referente in materia è il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali mentre evidentemente dovrebbe avere ruolo importante anche quello dello Sviluppo Economico. A livello internazionale, invece, si nota molta vivacità nel mercato dei beni artistici anche se il momento di ristrutturazione globale ha introdotto numerose modifiche in tema di scambi e protagonisti. A livello internazionale notiamo principalmente tre dinamiche interessanti. La prima consiste nella sempre maggiore attenzione riposta nel mercato dei Beni d’Arte tanto che molti legislatori lungimiranti (come in Lussemburgo o nella Repubblica di San Marino) intendono rendere questa risorsa strategica ai fini della crescita del proprio paese coniugando quindi cultura, sviluppo ed occupazione. La vicinanza tra Arte ed Economia è, infatti, capace di produrre un’osmosi di prodotti, processi e servizi tale da tradursi in un significativo slancio per la crescita. In secondo luogo, è possibile cogliere una varietà di nuovi “compratori” affacciarsi sui mercati d’arte internazionali, come ad esempio cinesi, russi e meno noti brasiliani, i quali svolgono una duplice funzione. Dotati di ingenti capitali riescono al tempo stesso a rivolgere la loro attenzione ad artisti internazionali e sostenere e far emergere i “loro artisti” a livello internazionale. A tal proposito, la sfida per il Sistema Arte Italiano è riportare la domanda degli investitori e dei collezionisti all’interno dei nostri confini anche operando su piazze estere per attrarre la clientela più raffinata e qualificata. Una terza dinamica consiste nella crescente predilezione per opere di alta qualità. Infatti, seppur in presenza di un’economia in tensione come quella odierna, l’attenzione degli attori si fa più vigile in occasione di passaggi di proprietà di opere importanti o di raccolte prestigiose (collection sales), capaci di attirare il pubblico con il loro fascino. È, se vogliamo, un’offerta meno ricercata e selettiva, decisamente più orientata al nome di richiamo che alla qualità intrinseca dell’opera. Il rischio è, dunque, quello di degenerare in un collezionismo che mira più allo status symbol, che deriva dal possedere un’opera unica, che non al beneficio più profondo che l’arte permette di trarre, ovvero il sapere e il conoscere il valore artistico. Queste dinamiche accomunano la situazione italiana con quella del resto delle principali piazze internazionali. Ma l’Italia, rispetto al resto del mondo, ha un’importante aggravante. In Italia non vi è libera circolazione degli oggetti d’arte ma a contrario una legislazione rigidamente protezionista. Un esempio è rappresentato dalla “notifica”, che impone notevoli vincoli ai proprietari di opere che abbiano più di cinquant’anni. Se da un lato dunque questa legge tutela il nostro patrimonio artistico, dall’altro mortifica il mercato degli scambi, delle fiere e delle aste. Infatti dal suo iniziale concepimento il mercato è stato interessato da radicali cambiamenti, purtroppo a tali cambiamenti non è corrisposta nessuna modifica normativa. La naturale conseguenza è l’esclusione dell’Italia non solo dal mercato internazionale ma anche da tutti quei meccanismi di crescita economica e occupazionale ad esso collegati.” Giancarlo Graziani, docente di economia dell’Arte,coordinatore attività Cestart - Centro Studi di Economia dell’Arte.