Il restauro di due dipinti della famiglia Penano rivela un giallo risorgimentale: il Generale e le camicie rosse furono cancellati a colpi di pennello Repubblica, Torino, 20 gennaio 2011, Massimo Novelli e Marina Paglieri - In vita e in morte Giuseppe Garibaldi venne idolatrato, romanzato, santificato, così come più volte esiliato e arrestato dai governi di Torino e di Firenze. Un mito popolare, il suo, che ne ha fatto un’icona entrata nell’immaginario di più generazioni. Ma non si era mai saputo, fino ad oggi, che qualcuno lo avesse persino cancellato non a colpi di spugna, bensì di pennello. Invece è accaduto davvero. Due dipinti verosimilmente della seconda metà dell’Ottocento, di proprietà della famiglia Pellion di Persano (discendenti dell’ammiraglio Carlo, capro espiatorio della sconfitta navale di Lissa), lo testimoniano e danno vita a una sorta di giallo risorgimentale. Durante la ripulitura dei due quadri, di un autore non identificato (compare la firma di un certo V. Troni) e riferiti allo scontro d’Aspromonte (1862) e alla battaglia garibaldina di Monterotondo (1867), Galileo Pellion di Persano, un altro membro della famiglia, restauratore, insospettito da alcuni strati sovrapposti di colore, si è reso conto che le tele erano state manomesse e con esse anche la storia. Aiutandosi con le tecniche più avanzate, come l’indagine a raggi infrarossi, ha scoperto innanzitutto che l’immagine originale del Generale, ferito a uni gamba dai soldati regi all’Aspromonte, era stata oscurata con una mano di colore. Non solo: pure il resto delle camicie rosse, intorno a lui e sulla montagna, era sparito; al loro posto le divise dei bersaglieri. Un fatto inspiegabile, ma non isolato. Nel secondo dipinto il misterioso falsificatore ha addirittura capovolto il ruolo dei combattenti, trasformando i garibaldini, vincitori in quell’occasione, in perdenti, premiando in tale modo gli zuavi francesi. Galileo Pellion di Persano confessa di non sapere bene come proseguire il suo intervento: «Ho interpellato la Soprintendenza ai beni storici ed artistici, chiedendo se fosse il caso di continuare nel restauro, ritornando pertanto alla forma originaria, oppure se si dovesse conservare questa versione contraffatta. La Soprintendenza, tuttavia, non si è ancora pronunciata, e mi sono fermato». Nessuno si era accorto finora della manomissione dei dipinti, nemmeno gli organizzatori della mostra per il centenario dell’Unità nazionale allestita a Palazzo Carignano in occasione di Italia ‘61, che li esposero accanto ai Bossoli e agli Induno, ai cimeli, alle bandiere, addirittura alla porta della cella di Silvio Pellico allo Spielberg. Rosanna Maggio Serra, già responsabile delle collezioni della Gam e quindi del Museo del Risorgimento, storica dell’arte che col-laborò a quel catalogo, a sua volta non nasconde sorpresa, unita a un certo divertimento: «Non conosco altri esempi del genere nella pittura del tempo, ma è pensabile che nel Piemonte di allora, dove vigeva un culto sabaudo, si siano volute creare scene “piemontecentriche”, complice forse la non risolta questione romana. Mi sembra un’operazione monarchica ed antirepubblicana, che nasconde forse un intento commerciale: qui piacevano di più le divise da bersagliere, piuttosto che le camicie rosse dei garibaldini». II mistero, comunque, resta. I Pellion di Persano ricordano di avere sempre visto quei due quadri nella casa di famiglia. Dice Galileo: «Non sono in grado, per ora, di approfondire la questione. Non abbiamo rintracciato documenti, né sappiamo come le tele siano arrivate da noi: se per volontà dell’ammiraglio o per iniziativa di qualcun altro. Non si sa nulla neppure di quel Troni, probabilmente il falsificatore». Resta ignoto, infine, il nome di chi dipinse per la prima volta le opere, sconosciuta la data. t ancora la Maggio Serra a sostenere che l’intervento di «censura» non può che essere ottocentesco. II celebre scontro di Aspromonte è stato “ritoccato”: il condottiero ferito riappare al di sotto di mia pesante mano di colore La battaglia di Monterotondo cambia d’esito: i garibaldini sono descritti come sconfitti, gli zuavi come vincitori