di Giuseppe Ussani d’Escobar - Era il 2003 e Domenico Giglio realizzava presso il MACRO, Museo d’arte contemporanea di Roma - padiglione 9b, una collettiva che aveva un fine particolare, quello di scagliarsi contro la nefasta legge Bossi-Fini, che nella sua perversione razzista verso gli immigrati, arrivava a proporre la raccolta delle impronte digitali di questi ritenuti soggetti non tollerabili, in quanto se perdevano il lavoro, automaticamente si trasformavano in soggetti non produttivi e quindi non graditi nel nostro grande Paese. In un importante atto d’accusa e di denuncia, gli artisti decisero di unirsi e, su proposta del Giglio, di lasciare nella storia una loro opera con le impronte digitali di un personaggio della cultura, della società a loro caro e sensibile ai valori di una società multiculturale basata sul rispetto della persona. Le opere sarebbero infine state battute all’asta ed i proventi consegnati alle “Nonne di Plaza de Mayo”, al fine di creare una Banca del Sangue per la ricerca genetica sul DNA e ritrovare i figli scomparsi dei Desaparecidos, tolti dalle braccia dei genitori in quanto oppositori politici del regime dittatoriale argentino ed infine adottati dagli stessi militari della Giunta. In quell’inverno del 2003, la collettiva si chiudeva alle soglie del Natale, una voce libera e forte si sollevava dalle mura del MACRO, dalle opere degli artisti presenti le impronte digitali urlavano il diritto alla vita, a determinare il proprio percorso esistenziale senza essere emarginati. In fondo tutti avremmo voluto essere schedati in un moto di solidarietà verso gli immigrati, poiché tutti siamo stati peregrinanti e spesso senza fissa dimora, pronti ad accettare qualsiasi lavoro pur di vivere, o meglio di sopravvivere. Tra i grandi nomi degli artisti presenti Piero Pizzi Cannella, Michelangelo Pistoletto,Luca Maria Patella, Nunzio,Richard Nonas, Jannis Kounellis, Marco Tirelli, Giacinto Cerone e Domenico Bianchi, vi era anche Mimmo Paladino che presentava un meraviglioso, surreale, magico ed ironico trittico: Il Trittico in questione portava impresse delle impronte digitali molto particolari, una testa e due piedi, chiaramente il destro ed il sinistro; il proprietario dell’identità ceduta per l’occasione era Lucio Dalla. Le tre opere, che componevano e si sintetizzavano nel numero magico del tre, determinando l’unità inscindibile dell’uomo, in un chiaro riferimento all’ultraterreno con il quale siamo chiamati a confrontarci, presentavano un fondo oro di richiamo bizantineggiante, che rammenta quegli splendidi trittici del quattrocento italiano, davanti ai quali i fedeli in preghiera sentivano di accedere per il tramite dell’oro alla luce di Dio, all’essenza della divinità, si lasciavano assorbire da Dio in un volo mistico, ovvero s’indiavano, secondo l’antica espressione, ed entravano in una dimensione priva di diseguaglianze, dove tutti siamo uguali in quanto spiriti. Queste impronte per me sono anche un certo qual eco della Sacra Sindone, quell’impronta, segno d’amore di Dio verso gli uomini, che vale per tutte, e si innalza quale massima manifestazione di solidarietà e di uguaglianza verso gli uomini. Ora Lucio Dalla è dentro la luce intramontabile del trittico, partecipe dell’infinita bellezza dell’universo e dei suoi misteri. Mentre Bossi e Fini sono entrati in quel buio dal quale è difficile risalire alla luce dei riflettori.