Milano. Intervista a Mattia Novello: l’arte del cadere (all’insù)

Redazione EosArte · February 9, 2013

Mattia Novello (Thiene, 1985) è il nuovo artista di punta della galleria Amy-d Arte Spazio di Milano. Lo incontriamo per un’intervista in occasione della personale che la gallerista Anna d’Ambrosio gli ha dedicato e che inaugurerà giovedì 14 febbraio alle ore 18.30. di Vittorio Schieroni

Vittorio Schieroni: Falling Up. L’Arte del cadere di Mattia Novello è il titolo della personale che inaugurerà giovedì prossimo presso Amy-d. Puoi raccontarci l’origine di questo titolo e illustrarci quali tipologie di opere verranno esposte? Mattia Novello: Falling Up è un “cadere all’insù”, un cadere riscoprendoci, che va dalla fotografia dei muri fino alla fotografia di Forme astratte cittadine, che è un camminare sulla superficie e guardare un infinito, un punto di fuga. In questa mostra ho cercato di toccare anche il tema della pressione e ho cercato di esprimerlo scegliendo il pluriball, che è questo materiale che serve per l’imballaggio ed è formato da due strati di plastica leggerissima che viene industrialmente pressata e quindi ha una sorta di ripetitività industriale: un corpo d’aria viene quindi racchiuso tra i due strati di plastica. Ho cercato di forare tutto il pluriball per ridare all’aria il suo compito, che è essere libera: è quindi uscire da questo schema industriale, da questi ritmi di velocità, tornare ad essere quello che siamo. Si presenterà questo lavoro sulla “Spressione” in arte, cioè tornare attraverso l’arte a essere liberi. Questo continua con le fotografie e le sculture in resina: la trasparenza mi dà la libertà. È proprio questo discorso di tornare a essere liberi attraverso diversi materiali, dal pluriball alla resina, alla fotografia, al cemento, a una scala coperta di puntine. Fotografia, sculture e installazioni: per esprimerti utilizzi più tecniche artistiche. Puoi parlarci del tuo rapporto con queste tecniche? È un insieme di tutto, secondo me, perché cerco di esprimere il concetto di pressione di libertà attraverso sia la fotografia, che l’installazione, che la scultura. Si arriva alla libertà dopo essere stati pressati, questo cerco di esprimerlo attraverso le fotografie dei muri. Queste pareti cittadine delle quali mentre camminiamo manco ci accorgiamo, ma che sono delle barriere fisiche che ci chiudono lo spazio. Le fotografie delle Forme astratte cittadine sono l’esatta continuazione delle precedenti: le foto dei muri vengono presentate accanto alle foto della libertà, che si esprime guardando verso l’alto. Questa libertà ha sempre il cielo nero, perché le foto sono in positivo: ho cercato di crearmi un contro-spazio che dal muro della città arriva alla libertà. Tutto questo continua con la scultura con la resina: la trasparenza mi aiuta ad avere questa libertà, a esprimere questa libertà che arriva da diverse esperienze che possiamo crearci in un percorso di vita, come fossero delle stazioni, degli step. Queste sfumature che partono dal nero per passare al grigio scuro, al grigio più chiaro, al bianco, fino alla trasparenza: un mix di idee, di esperienze che facciamo per diventare individui liberi, individui che non hanno più bisogno di seguire degli stereotipi, ma di essere come sono. Vorrei approfondire meglio questo punto: i tuoi lavori hanno spesso come tema dominante la presa di coscienza di se stessi. Ci puoi spiegare meglio questo concetto? In un’epoca della velocità, di Internet, dove è facile vedere e associarsi a delle cose, il riscoprirsi è proprio un guardare dentro se stessi. Isolation è un’ installazione fatta di cemento e puntine, quasi un pozzo dentro il quale noi cerchiamo di guardare, ma che nel fondo ha uno specchio, che ci costringe a specchiarci. Questa fisicità del cemento e delle puntine continua in qualcosa di ultraterreno. Dentro vediamo noi stessi, è uno scoprirci, un capire chi siamo e cosa vogliamo fare di tutto, di quello che ci circonda.     New York ha avuto un ruolo importante per la tua formazione e per la costruzione del tuo immaginario. Quali sono gli stimoli più forti che la metropoli americana ti ha trasmesso? New York è una città davvero multietnica e viverci mi ha fatto capire come tutte le culture del mondo possano vivere assieme. Anche se New York è una città abbastanza difficile, perché New York è il business: tutti corrono, tutti hanno quello in mente. È magica, ma allo stesso tempo è un pozzo, tutti ci cadono dentro. Tutti sono lì per migliorarsi, lavorare, crescere. Dopo essermi laureato volevo fare un’esperienza lontano da casa per imparare l’inglese; stando lì ho avuto la fortuna di lavorare in studi sia di grafica che di fotografia e frequentare due università con dei corsi. Questo mi ha aiutato a crescere tantissimo, perché ti rendi conto di stare in un Paese straniero, con un’altra lingua e devi partire da zero. È stato quasi rinascere in un’altra città, quindi ti metti in discussione, è mettersi in gioco. È stata un’esperienza fondamentale, e grazie a Dio l’ho fatta, però dopo alcuni anni ho deciso di tornare. Ho voluto capire come funziona fuori casa e stando fuori casa capisci meglio la tua realtà. New York è stata il mio pozzo, mi ha aiutato a scoprirmi e a capire che cosa volevo fare. Quando e come è iniziato il tuo percorso artistico? È cominciato facendo graffiti in metropolitana e treni. Dopo diversi anni, facendo graffiti e cominciando a fare foto a chi faceva i graffiti, mi ero accorto che la parete bidimensionale non mi bastava più, quindi ho cercato di trovare una sorta di tridimensionalità, ho cominciato a fare una ricerca di oggetti che esprimessero quello che volevo comunicare: dalle puntine ai tappi per le orecchie. Dopo questa ricerca ho voluto cominciare a crearmi gli oggetti e ho continuato creando questi oggetti a usare la resina. La resina è stato il materiale che esprimeva di più la trasparenza e aiutava un discorso di libertà, cioè questa unione, questo mix di esperienze che va dal nero al bianco, fino alla trasparenza. Non so neanche se sia stato un inizio, forse è la resina che mi ha trovato. I primi lavori che ho cominciato a fare erano sempre con la resina, però avevo iniziato a inserire qualcosa dentro di essa. Cosa ti ha lasciato questa esperienza legata ai graffiti? È collegata alla tua permanenza a New York? Per chi fa graffiti il mito di New York c’è, perché i graffiti sono nati lì, anche se i graffiti che a me piacciono si associano al Nord Europa. È stato proprio l’inizio, avevo voglia di uscire e disegnare. Riavere la stessa adrenalina facendo arte, dove non ti trovi in competizione per chi fa più scritte, ma con chi deve comunicare la propria idea, è una cosa diversa, ma dà la stessa adrenalina. Ho la stessa adrenalina stando nel mio studio a lavorare, facendo i modelli, avendo la resina addosso.      Quali sono gli altri riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente colpito e influenzato nel corso del tempo? Mi piace molto la pulizia di Castellani, questa stilizzazione e dare l’importanza alle ombre. Sono affascinato anche dalle idee che aveva Magritte, dalle cose che faceva. Loro sono i due artisti che ritengo ai massimi livelli. Pressione artistica, sociale, umana. Artisti, galleristi, Istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese, spesso suddiviso in piccoli gruppi di potere e per questo un po’ provinciale? Queste cose mi interessano poco: penso che lo scambio di idee sia importante, se si collabora si riescono ad avere molte più idee. L’importante è realizzare l’opera, una volta realizzata sta ad essa continuare a vivere, io non c’entro più. Queste competizioni non mi spaventano, non le temo, ma neanche ci penso. Io faccio il mio lavoro, ben venga se devo condividerlo con qualcuno. L’unica cosa importante è fare l’opera giusta. Intervista realizzata presso la sede di Amy-d Arte Spazio, Via Lovanio 6, Milano, in data venerdì 8 febbraio 2013. Le immagini che accompagnano il testo si riferiscono ad alcune opere che verranno esposte presso Amy-d nella personale Falling Up. L’Arte del cadere di Mattia Novello (14 febbraio-9 marzo 2013).    

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