Milano. Riscoprire un tesoro sommerso: i depositi dei musei statali italiani

Redazione EosArte · April 21, 2012

di Vittorio Schieroni    I musei statali del nostro Paese offrono al visitatore un patrimonio inestimabile, sia a livello qualitativo che quantitativo, di capolavori d’arte di ogni genere, epoca e stile, lungo tutto il territorio italiano, dalle metropoli alle città di provincia. In pochi hanno piena coscienza dell’esistenza, al di là di questa già incredibilmente vasta ed eterogenea collezione, di un vero e proprio universo parallelo, celato agli occhi del pubblico perché conservato all’interno dei depositi dei musei: opere considerate - spesso a torto - di qualità inferiore, oppure di incerta attribuzione, proprietà, o, ancora, con problematiche riferibili alla loro provenienza o allo stato di conservazione. Beni d’arte troppo spesso del tutto dimenticati, non sottoposti ad adeguati studi storici e critici, in condizioni conservative non ottimali. Una situazione che va al di là di quella, già precaria, di molti beni mobili o immobili accessibili anche ai non “addetti ai lavori”. Date queste premesse, sembra naturale porsi delle questioni in merito alla tutela e valorizzazione di tale tesoro sommerso, perché esso non venga trascurato o, peggio, perduto. L’incontro organizzato dal Ce.St.Art - Centro Studi sull’Economia dell’Arte della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano svoltosi mercoledì 18 aprile 2012 ha voluto puntare l’attenzione sull’argomento, presentando lo studio dell’Istituto Bruno Leoni “Un patrimonio invisibile e inaccessibile. Idee per dare valore ai depositi dei musei statali”, di Maurizio Carmignani, Filippo Cavazzoni e Nina Però. Hanno partecipato all’incontro Giancarlo Graziani, Docente di Mercato dell’arte e dell’antiquariato all’Università IULM, che ha introdotto e coordinato i lavori, Maurizio Carmignani, Consulente direzionale ed economista della cultura, dei territori e del turismo, Filippo Cavazzoni, Direttore editoriale Istituto Bruno Leoni, Paolo Biscottini, Docente di Museologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore del Museo Diocesano di Milano, Matteo Montebelli, Responsabile area ricerche e pubblicazioni Centro Studi Touring Club Italiano, Marilena Pirrelli, Responsabile Plus24-ArtEconomy24 de Il Sole 24 ORE e Pietro Ripa, Dirigente Area Research MPS Group. Interessanti e numerosi gli spunti di riflessione che sono emersi nel corso del dibattito. Dopo i saluti introduttivi da parte del Prof. Giancarlo Graziani, che ha presentato il tema dell’incontro, gli ospiti e le attività di indagine sul mercato dell’arte portate avanti dal Ce.St.Art, la parola è passata a Filippo Cavazzoni, che ha delineato la struttura dello studio, basata sull’analisi della letteratura esistente sull’argomento, su interviste a operatori del settore e, infine, su una serie di proposte e riflessioni per la valorizzazione dei depositi museali ed eventuali possibili cambiamenti nella normativa vigente.   Il quadro emerso dallo studio rivela che attualmente è possibile reperire da fonti ufficiali solo una serie di dati aggregati e non particolareggiati sul numero delle opere conservate nei depositi, che sono già garantite per legge la consultazione delle opere al pubblico e la rotazione tra opere esposte e giacenti in deposito. Le ragioni per cui i musei conservano un ampio numero di opere nei loro magazzini sono molteplici: perché esse sono ritenute di scarso valore, perché la vendita ne sarebbe proibita per legge, perché la cessione sarebbe ritenuta una perdita e un depauperamento artistico per la comunità, perché non sussisterebbero incentivi alla vendita e una vera e propria motivazione commerciale. C’è da riflettere sul fatto che i grandi musei internazionali tendano a esporre una minima parte delle loro collezioni, molti dei quali, però, consentendo al pubblico una consultazione “aperta” delle proprie opere in deposito al di fuori del tradizionale percorso espositivo: un esempio virtuoso in tal senso è il Birmingham Museums and Art Gallery. Maurizio Carmignani ha affrontato l’argomento sotto una chiave propositiva: su come si possa riformare a costo zero, innovare senza un faticoso iter parlamentare. Per i beni archeologici si tratterebbe, in particolare, di razionalizzare i magazzini, di concedere in prestito (anche prestiti di lungo periodo) reperti di minor rilevanza ad altri musei, a università, ambasciate e istituti di cultura all’estero, a privati, fino alla vendita di quelli di scarso valore, una sorta di merchandising di pezzi unici e originali. Per i musei che espongono beni storico-artistici si dovrebbe garantire alle istituzioni competenti una maggiore autonomia di gestione del patrimonio diffuso e introdurre delle politiche di marketing. Una riflessione completata dallo stesso Cavazzoni, che ha sottolineato l’esigenza di una maggior flessibilità e autonomia per le istituzioni museali, anche per quanto riguarda il tema dell’alienazione di parti delle collezioni, pur con i dovuti criteri di responsabilità ed efficienza, seguendo l’esempio della legislazione britannica in materia. Una fonte addizionale di entrate che potrebbe essere riconvertita per favorire una fruizione museale più razionale e una migliore conservazione delle collezioni esposte. L’intervento di Paolo Biscottini si è rivelato molto accorato e amaro: partendo dalla considerazione su quanto sia difficile fare un confronto diretto tra un Paese così ricco di beni artistici e culturali come il nostro e la situazione in campo internazionale, sono stati sottolineati l’asfissiante burocrazia che caratterizza i musei statali e la stupidità con cui sono gestiti i beni storico-artistici in Italia. Il Direttore del Museo Diocesano di Milano ha messo in risalto l’importanza dei depositi, da spazi di accumulo a luoghi di studio e conservazione, che racchiudono una storia e una memoria. I depositi dovrebbero essere concepiti in maniera differente: allargati e destinati a studiosi e curiosi, permettendo una riduzione delle opere presenti nel percorso espositivo, così da evitare un eccessivo sovraffollamento visivo al visitatore, contemplando meccanismi di rotazione tra opere esposte e conservate nei magazzini. Sempre Biscottini ha sottolineato la necessità di spostare il discorso sulla valorizzazione, per rendere i musei più attraenti e vivaci, non considerando inconcepibile la cessione di alcuni beni a privati. Il vero problema da affrontare una volta per tutte è quello della cattiva gestione dei beni culturali, con una legislazione da rivedere integralmente, per ovviare a un vuoto, a una povertà e a una miopia, alla stessa miopia che non ci ha permesso di comprare e preservare la nostra arte contemporanea della seconda parte del Novecento. I musei attualmente non hanno alcun rapporto con il mercato dell’arte e solo nel nostro Paese esso viene considerato con diffidenza, così come viene guardato con sospetto chi ne ha a che fare. «I musei sono malati di asfissia, stupidità, ma soprattutto di paura».   A questo punto della discussione è stato lo stesso Graziani ad anticipare ai presenti come proprio il Ce.St.Art stia attualmente lavorando per spingere a una revisione della legislazione in materia, invitando nello stesso tempo i presenti in sala a collaborare con opinioni e suggerimenti. Matteo Montebelli ha spostato l’attenzione sul fondamentale rapporto esistente tra turismo e cultura, con un servizio che dovrebbe essere orientato all’utente, valutando nello stesso tempo come il turismo culturale italiano debba migliorare in termini qualitativi piuttosto che quantitativi, non essendo il nostro Paese attrezzato ad accogliere un indiscriminato numero di visitatori, proprio per i vincoli strutturali che caratterizzano le città e le strutture ospitanti. L’utente, secondo Montebelli, chiede di vivere un’esperienza e proprio su questa strada ci si deve muovere: nel rendersi appetibili per offrire al turista che arriva in Italia una vera e propria esperienza. Altri punti d’interesse che hanno caratterizzato l’incontro all’Università IULM sono stati toccati da Pietro Ripa, che si è chiesto provocatoriamente se ad oggi convenga a un soggetto privato investire sponsorizzando eventi culturali per avere un ritorno in termini di visibilità. Se il prodotto-artista rischia di cannibalizzare il marchio dello sponsor, allo stesso tempo si può rilevare come l’arte venda sempre di più e a un universo di compratori sempre più eterogeneo, compresa una moltitudine di piccoli privati, con disponibilità limitate, ma ugualmente interessati e propensi all’acquisto. Secondo Ripa, l’intervento del privato nella gestione del museo pubblico è necessario e l’inalienabilità delle opere pubbliche non è a lungo sostenibile: opere minori, non sufficientemente di pregio per poter essere esposte e attualmente dimenticate nei depositi, potrebbero acquisire valore se portate all’attenzione. Questo non implicherebbe, tuttavia, svendere l’arte, concetto ancora più significativo per quei reperti archeologici “di risulta” che potrebbero avvicinare un pubblico di compratori potenziali interessati a possedere un determinato pezzo unico. Nella conclusione del suo intervento, Ripa ha avanzato un’altra proposta, ossia l’organizzazione di rassegne d’arte temporanee nelle sedi museali, prevedendo l’assegnazione di premi per varie sezioni e un costo di iscrizione sostenuto dall’artista, che sarebbe interessato a esporre in una vetrina prestigiosa.   Info Presentazione dello studio “Un patrimonio invisibile e inaccessibile. Idee per dare valore ai depositi dei musei statali” dell’Istituto Bruno Leoni A cura del Ce.St.Art - Centro Studi sull’Economia dell’Arte della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano Incontro svoltosi mercoledì 18 aprile 2012, dalle ore 15.30, presso l’Aula Seminari (Edificio IULM 1, 6° piano) dell’Università IULM, Milano Informazioni: www.iulm.it, [email protected]

Twitter, Facebook