Il Mattino di Napoli, Mario De Cunzo - Quando Foscolo si chiedeva se “all’ombra dei cipressi o dentro l’ume è forse il sonno delle morte men duro?” sembrava solo una polemica. Una polemica igienico-urbanistica. E mai il poeta avrebbe potuto immaginare che quei luoghi lontanidai centri abitati, come il napoletano Cimitero degli Inglesi, sarebbero stati fatti oggetto di vandalismi come quelli di cui tocca occuparsi oggi. Ma sarà forse proficuo ripercorrere brevemente la storia di questo luogo e il contesto culturale nel quale nacque, anche per meglio calibrare la giusta indignazione prima di arrivare alle avvilenti realtà contemporanee. Ai tempi dei «Sepolcri» di Foscolo si cominciava a pensare che le sepolture all’interno dell’abitato, sotto il pavimento e nelle cripte delle chiese, fossero poco igieniche, causa o concausa di epidemie di peste e di colera, tutte emergenze ben vive nella Napoli di allora e, si badi bene, non solo a Napoli. Meglio, allora, organizzare cimiteri fuori città, appunto, “… all’ombra dei cipressi”. E fu così che architetti e scultori, sostenuti dall’opera di esperti di giardini, attinsero con passione alla cultura romantica per concretizzarla in luoghi di culto dei morti. A Napoli già nel secolo XVIII Ferdinando Fuga aveva realizzato il Cimitero delle 366 Fosse sulla collina di Poggioreale, dove pochi secoli prima il re aragonese aveva costruito la sua villa, una delle più belle architetture del Rinascimento italiano. In seguito la Napoli elegante e ricca si sviluppò verso occidente dal Castel Nuovo al Palazzo Reale, a Ghiaia, fino a Posilippo. Ad oriente, fuori le mura, in una zona paludosa si sviluppava la Napoli più povera, si costruivano tribunali, carceri, cimiteri. A Poggioreale Gioacchino Murat promosse il Nuovo Campo Santo con l’architetto Francesco Mare-sca, allievo di Vanvitelli. La comunità inglese, particolarmente vicina ai Borbone, volle un cimitero tutto per sé. E fu così che nel 1826 fu realizzato il Cimitero degli Inglesi per volere di Lord Lushington, presso la chiesa di Santa Maria della Fede. Il Cimitero degli Inglesi fu ampliato nel 1852 e ospitò opere di artisti della caratura di Franceso ferace: di notevole pregio furono le due sculture da questi realizzate. Poi, nel 1893, il Cimitero fu chiuso quando tutta la zona fu coinvolta nella grande opera di ristrutturazione urbanistica del Risanamento. È vero che il Risanamento limitava spesso la ristrutturazione al fronte strada, ma il Cimitero degli Inglesi fu soppresso. Furono tolte le sepolture, ma rimasero le romantiche sculture realizzate durante il secolo XIX. Da allora, il Cimitero degli Inglesi è diventato un parco pubblico con aiuole e vialetti. Nei primi anni del 2000 l’Assessore ai Cimiteri, Paride Caputi, curò buoni interventi di manutenzione e interessanti pubblicazioni sul cimitero di Poggioreale definito “museo a cielo aperto” (Massa editore, 2004). A scriverne sono stati Giancarlo Alisio e Dieter Richter, in due preziosi volumi. Se ne è interessata anche l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, che ha istituito un Master Europeo Arte e Cultura, che è diretto da Adriana Corrado. Poi il Comune ha affidato il Cimitero alla Municipalità, e ora la denuncia degli scempi qui compiuti si arricchisce del particolare incredibile di un interesse della camorra su quel luogo d’arte e di memoria. Ora, a Napoli è pratica consolidata a Napoli, quando una cosa va male, dare la colpa ai clan, come se ogni cosa fosse frutto della lotta tra il bene e il male. Il male-Camorra, il bene altrove. Ma sarebbe anche il caso di guardar meglio in noi stessi, alla caduta di attenzione per i nostri luoghi d’arte, alla mancata manutenzione. A tutti gli atti mancati che costruiscono il nostro degrado quotidiano.