Perché l’archeologia clandestina rende più della droga

Redazione EosArte · July 6, 2009

 L’inchiesta di Fabio Isman «I predatori dell’arte perduta»: un milione di oggetti trafugati “Sgombriamo il campo da un equivoco: anche se si proclamano tali, i ‘tombaroli’ non sono archeologi. Non scavano per studiare ma distruggono per lucrare. Non individuano un sito per chiarire cosa rappresenti, ma lo devastano per saccheggiarlo». Perché “un reperto può anche tornare”, ma disgraziatamente «il suo ‘contesto’ è perduto per sempre.” Corriere della Sera, 05.07.2009, Paolo Conti

Basterebbe questo passaggio per spiegare perché Fabio Isman, inviato speciale de «Il Messaggero», abbia dedicato gli anni più importanti e maturi della sua carriera a uno sterminato filone, verrebbe da dire a una inchiesta durata anni: il saccheggio del nostro patrimonio artistico, la sistematica devastazione - operata dai famosi «tombaroli» con la complicità di mercanti internazionali privi di qualsiasi scrupolo morale e a dirigenti di grandi musei statunitensi fatti della stessa stoffa - di un retaggio culturale unico al mondo. Ora esce per i tipi di Skira questo I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia (pp. 222, e 19), sintesi del lungo e accurato impegno di Fabio Isman. L’autore ha alle spalle altri anni professionali vissuti nella cronaca nera, nel terrorismo. E il felice passo narrativo del volume è veramente figlio dell’una e dell’altra esperienza. Perché sembra di immergersi in un thriller alla John Grisham (i lettori si rassicurino: nessuna barbosa digressione storico-artistica) che non lascia spazio alla noia. Storie di scavi notturni, di investigatori italiani colti e sagaci, di mediatori ricchi non solo di denaro (e di sterminati depositi in Svizzera) ma anche di contatti internazionali ad altissimo livello. Perché tutto questo? Semplice, spiega Isman: «Perché il reperto paga. Perfino più della droga. E comporta assai meno rischi. Non si è mai visto, ad esempio, un cane fiutare un oggetto antico in un aeroporto. Scoprire i predatori è più difficile che bloccare gli spacciatori». Il triste risultato, come spiega il sommario di copertina, è «un milione di oggetti trafugati e ricettati». Isman si diverte, con amarezza, a tratteggiare i tipi umani coinvolti. Per esempio la sfrontatezza di Giacomo Medici e di Bob Hecht, protagonisti indiscussi del mercato nero mondiale di beni culturali, che si fotografano soddisfatti al Metropolitan di New York davanti alla teca che conservava il meraviglioso Cratere di Eufronio, poi restituito all’Italia nel 2008 dopo una tesissima trattativa. Magari manca Indiana Jones. In compenso ci sono i nostri straordinari Carabinieri della Tutela del patrimonio culturale. Chissà che un giorno anche loro diventino protagonisti di un film, magari ispirato a questo coinvolgente e avventuroso volume.

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