(P.M.P.)- Sabato 6 novembre alle ore 11 presso il Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese Claudio Strinati racconta l’arrivo dell’informale in Italia prendendo le mosse dalla singolare carriera di una delle personalità artistiche più glamour del dopoguerra, il pittore Filippo Marignoli. Nato a Perugia nel 1926 e morto a Seattle nel 1995, Marignoli fu infatti non solo artista di indiscusso e originale talento, ma anche uomo bello e affascinante, d’origine aristocratica e frequentazioni internazionali e invidiato consorte di una donna molto speciale, la principessa Kapiolani Kawananakoa delle Isole Hawaii, celebrata bellezza della mondanità culturale anni 50-60. La conversazione si svolgerà attraverso le sale in cui è allestita la mostra di carattere antologico che l’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione - Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale dedica al pittore umbro sino al 21 novembre. Sabato 6 novembre alle ore 11 Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese Viale Fiorello La Guardia - Roma Prenotazioni e info: 06 06 08 oppure Scarlett Matassi 347 0418110 [email protected] Filippo Marignoli: I primi lavori del pittore umbro si collocano nell’epoca del cosiddetto informale, alla fine degli anni ‘50: tele - in controtendenza rispetto al gusto prevalente in quel momento in Italia - per lo più caratterizzate dal grande formato e che, dopo le mostre alla Galleria l’Attico, lo fanno presto considerare uno dei migliori interpreti della nuova arte italiana. Tuttavia, proprio al successo ottenuto all’esordio della carriera si deve un pregiudizio critico che, nel nostro paese, circoscrive il suo ricordo alla sola stagione dell’informale. In realtà, come vuole evidenziare questa mostra, le opere successive, spesso organizzate in cicli, sono progressivamente originali. Una delle ragioni della scarsa conoscenza che se ne ha in Italia è che esse vennero spesso prodotte all’estero. Sorprendentemente infatti, nel momento in cui la sua pittura raccoglie ampi consensi, l’irrequieto artista decide di trasferirsi negli Stati Uniti, dove vive, tra New York e le Isole Hawaii, sino al 1963. La partenza, favorita dal matrimonio con la principessa Kapiolani Kawananakoa delle Isole Hawaii, segna una svolta nell’ambito della pittura di Marignoli, condotto da nuove ricerche lontano dagli esiti informali del primo periodo. Nella New York dei primi anni ‘60 trova Action Painting e Abstract Expressionism nel momento del loro massimo fulgore e si inserisce in quella fervida temperie producendo - come ben evidenziano le assai poco conosciute opere del periodo americano esposte al Bilotti - dipinti aggiornatissimi e, insieme, vivamente personali. Rientra in Italia nel 1963 per stabilirsi a Roma. Segue un decennio di totale isolamento dal milieu dell’arte. Il nuovo clima artistico ferocemente oggettuale, prima affermatosi in Usa e ora, sull’esempio della Pop Art, dilagato in Europa, lo trova sostanzialmente estraneo. Tuttavia la sua ricerca procede, indifferente alle tendenze dominanti ma originalissima negli esiti che preparano la sorprendente fase conclusiva della sua carriera. Marignoli appartiene infatti a quella minoranza di artisti la cui ispirazione prende linfa dal trascorrere del tempo. Trasferitosi a Parigi nel 1974, inizia subito una fervida collaborazione con una delle più importanti galleriste europee del dopoguerra, la leggendaria Denise Renè. Le opere francesi sono la rappresentazione di strapiombi mozzafiato, orizzonti talmente verticalizzati da richiedere il ricorso ad inconsueti formati molto lunghi e stretti. La critica più aggiornata ne parla come dei primi paesaggi radicalmente verticali della pittura contemporanea, un unicum di originalità assoluta, la rappresentazione in pittura di un’idea poco frequentata dall’arte occidentale: la sensazione della vertigine. Le opere in mostra al Museo Carlo Bilotti ricostruiscono, passo dopo passo, la singolare ricerca e la strana carriera di un talento fuori norma, quello di Filippo Marignoli, l’artista che alternò con noncuranza momenti di grande successo ad altri di assoluto isolamento ed oblio, l’aristocratico bello e affascinante che fece innamorare dei suoi strani dipinti la gallerista più difficile di Parigi, quella Denise Renè che di lui amava raccontare anche l’ineffabile eleganza del vivere: “Questo nobile marchese di Spoleto non sdegnava nessuno dei piaceri dell’esistenza: la musica, le grandi riunioni amicali attorno a piatti raffinati che spesso preparava lui stesso”.