Tornato nel Primo Corridoio della Galleria degli Uffizi, l’opera in marmo è la replica romana (del I secolo d.C.) di un originale ellenistico del III-II secolo a. C.. Ill suo recupero, a cura della restauratrice Anne Katrin Potthoff Sapia, è stato interamente finanziato dalla sezione fiorentina di Italia Nostra, così come quelli dello pseudo Seneca morente, della Giulia Mesa, di Poppea e del Nerone bambino (posto nel Terzo Corridoio della Galleria). “Sono lieta di questo nuovo intervento di recupero di un marmo della Galleria– ha detto il Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino, Cristina Acidini –reso possibile grazie alla manifestazione di sensibilità dimostrata ancora una volta da Italia Nostra, sempre così vicina alle esigenze del museo, da sempre impegnato nella contesa dei suoi tesori all’inarrestabile azione del tempo”. “Ogni restauro condotto sui marmi della collezione antiquaria degli Uffizi – ha aggiunto il Direttore della Galleria, Antonio Natali – è doppiamente meritorio, giacché da un lato si recupera la migliore leggibilità di un’opera, dall’altra s’accendono le luci su un patrimonio d’antichità che degli Uffizi è parte cospicua e insigne. NOTE STORICHE Identificato con una delle sculture donate a Francesco I de’ Medici dal Cardinale Pier Donato Cesi alla fine del XVI secolo, l’Apollo seduto è verosimilmente in Galleria sin dal 1597, esposto nel primo corridoio e definito negli inventari dell’epoca “ignudo con testuggine”. Secondo la letteratura, la figura avrebbe di antico soltanto il torso e la parte superiore delle gambe; questo frammento classico fu integrato assai precocemente, certo sin dal XVI secolo, con gli attributi di Apollo, ovvero la faretra e la tartaruga, metafora delle tenebre “schiacciate” dalla divinità solare. I lavori di restauro, oltre a restituire piena leggibilità a un’opera fra le prime del nucleo originale del museo mediceo, hanno consentito anche di avanzare fondate ipotesi sull’antichità della testa. Quest’ultima, molto probabilmente non pertinente, fu però ricomposta con grande perizia dai restauratori cinquecenteschi, che furono in grado di selezionare un tipo iconografico compatibile con i modelli apollinei. Fra i risultati dell’intervento è da segnalare anche l’individuazione dell’originario piano di seduta della figura, pressoché interamente obliterato dalla roccia di moderno restauro. Grazie a questi indizi si conferma l’ipotesi già avanzata in letteratura, secondo cui il torso era originariamente pertinente non ad un Apollo, bensì ad un Dafni. La statua faceva parte di un gruppo (symplegma) raffigurante il giovane con il suo maestro di musica Pan, oggetto di gran fama in epoca antica e descrittoci da Plinio il vecchio nel portico di Ottavia a Roma. Il prototipo, opera di Eliodoro di Apamea, maestro dello stile barocco di tradizione rodia, fiorito a cavallo tra II e I sec. a.C., fu ampiamente riprodotto in età imperiale e ad una sua replica di alta qualità, verosimilmente realizzata nel I sec. d.C., deve essere ascritto il torso del cosiddetto Apollo degli Uffizi.