Tra tasse, contributi previdenziali e burocrazia le imprese italiane sopportano un costo annuo di 248,8 miliardi di euro. Un peso eccessivo che, in linea di massima, non ha eguali nel resto d’Europa. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha stimato il contributo fiscale e i costi burocratici che le nostre imprese si fanno carico ogni anno. “In nessun altro Paese d’Europa – segnala Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA – viene richiesto un simile sforzo fiscale. Nonostante la giustizia civile sia lentissima, il credito sia concesso con il contagocce, la burocrazia abbia raggiunto livelli ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione rimanga la peggiore pagatrice d’Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registri dei ritardi spaventosi, la fedeltà fiscale delle nostre imprese è massima”. Le aziende italiane contribuiscono al gettito fiscale nazionale per oltre 110 miliardi di euro. Seppur calcolata per difetto, ci troviamo di fronte ad una cifra “spaventosa”. La stima è stata determinata secondo le metodologie utilizzate da Eurostat; in questo importo, però, mancano alcune tasse “minori”, come il prelievo comunale sugli immobili strumentali e altri “piccoli” tributi locali. Complessivamente questa voce ammonta ad almeno 12,5 miliardi di euro. Inoltre, vanno aggiunti anche i contributi a carico delle imprese versati per la copertura previdenziale dei propri dipendenti, una cifra che stimiamo in circa 95 miliardi di euro. Integrando queste ultime informazioni con le statistiche Eurostat, si può affermare che complessivamente le imprese italiane subiscono un peso tributario e contributivo pari a 217,8 miliardi di euro (anno 2012). Se allo sforzo fiscale aggiungiamo altri 31 miliardi di euro che, secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono i costi amministrativi che le Pmi italiane patiscono ogni anno per districarsi tra timbri, certificati, formulari, bolli, moduli e pratiche varie, l’ammontare complessivo del carico fiscale e burocratico sale a 248,8 miliardi di euro: una cifra che solo a pensarci fa tremare i polsi. Se disaggreghiamo la voce tasse, scopriamo che l’imposta che produce il maggior gettito per le casse dello Stato è l’Ires: l’imposta sui redditi delle società garantisce all’Erario quasi 33 miliardi di euro all’anno. L’Irpef versata dai lavoratori autonomi, invece, pesa ben 26,9 miliardi, mentre l’Irap in capo alle imprese private “garantisce” un gettito di 24,4 miliardi di euro. Infine, segnaliamo l’importo dei contributi previdenziali versati dagli autonomi: altri 23,6 miliardi di euro. Al nostro sistema delle Piccole e medie imprese (Pmi) la burocrazia costa quasi 31 miliardi di euro. Per ciascuna di queste imprese si stima che il peso economico medio sia di circa 7.000 euro. I costi sono stati calcolati su base annua e l’ultimo aggiornamento è riferito al 31 dicembre 2012. L’elaborazione è stata realizzata su dati della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Denuncia il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi: “Trentuno miliardi di euro corrispondono a circa 2 punti di Pil: una cifra raccapricciante. Di fatto la burocrazia è diventata una tassa occulta che sta soffocando il mondo delle Pmi. Nonostante gli sforzi e qualche buon risuItato ottenuto, la lentezza della macchina pubblica e il numero degli adempimenti richiesti continua ad essere eccessivo. Non è un caso che gli stranieri non vengano ad investire in Italia anche per la farraginosità del nostro sistema burocratico. Una legislazione spesso indecifrabile, l’incomunicabilità esistente tra gli uffici delle varie amministrazioni, la mancanza di trasparenza, l’incertezza dei tempi e un numero spropositato di adempimenti richiesti hanno generato un velo di sfiducia tra imprese private e Pubblica amministrazione che non sarà facile rimuovere”.