Diciannove artisti sono gli attori di “uno spettacolo nello spettacolo” al Festival di Todi, inaugurato il 24 agosto, invitati a riflettere sul teatro e la cultura araba, in un momento politico di fortissima tensione dopo i moti della “Primavera Araba” che sta attraversando tutto il Medio Oriente. Abbiamo scelto di intervistare due di loro, Laura Canali, che al mondo arabo è legata per la sua Geopoetica e Claudio Abate, celebre per le sue foto di scena degli spettacoli di Carmelo Bene. Ne è nato un dialogo che spazia dalle recenti notizie di cronaca al futuro dell’arte e della fotografia. di Lucrezia Alessia Ricciardi - EosArte: Geopoetica e Cartografia. Queste sono le parole chiave dei suoi lavori. Da dove nasce questo interesse e come è riuscita a coniugare l’arte e la cartografia e come nasce il termine “geopoetica” ? Laura Canali: Nel 1993 nasceva Limes, la rivista italiana di geopolitica e insieme anche l’opportunità, per me, di disegnare mappe. Mi sono appassionata subito. Il mio ruolo è stato sempre quello di tradurre in segno i concetti politici espressi dagli autori. In vent’anni ho disegnato molto ma le carte a colori sono quelle che mi rappresentano meglio. Il lavoro che realizzo per Limes è il frutto di una collaborazione con la redazione, attraverso queste persone ho le informazioni necessarie per poter realizzare i miei disegni. Il termine “geopoetica” nasce dal progetto che sto portando avanti con Camilla Miglio, Germanista all’Università Sapienza di Roma. Un tentativo di cartografare i luoghi di alcuni poeti del ‘900, segnati dal “trauma della separazione” www.limesonline.com. Naturalmente si tratta di poeti con un forte legame con la terra e con chiari riferimenti a luoghi geografici. Nelle mappe geopoetiche riesco a coniugare meglio l’arte con la cartografia perché ho la possibilità di interpretare secondo i miei sentimenti, senza mai dimenticare il fine che ho e cioè di dare informazioni. E.A: Il mondo è pieno di sconvolgimenti, le rivoluzioni delle piazze arabe, la guerra civile in Egitto, confini labili e guerre per i confini. Tutto questo influenza la sua arte. Come vive questi conflitti e come li riesce a raccontare? L.C: I recenti conflitti in Medio Oriente occupano molto i miei pensieri. Disegnando spesso l’area mediterranea mi rendo perfettamente conto di quanto sia grave questa instabilità per l’Italia e per l’Europa. Ora tutto il nord Africa e anche la Turchia sono sconvolti dal profondo. I social network hanno acceso la miccia ma la mancanza di un disegno politico radicato in profondità ha consegnato le “rivoluzioni dei giovani” nelle mani dei vecchi poteri che sono più agguerriti di prima. Gli effetti di questi cambiamenti li vedremo tra qualche anno. Il paese che mi angoscia di più è la Siria perché in Siria c’è in gioco la stabilità di tutto il Medio Oriente. Quella è la situazione peggiore di tutte. In questo momento è molto difficile cartografare questa area. Mi sento molto a disagio quando devo disegnare la frontiera tra Siria e Libano perché davvero non esiste o perlomeno non è esistita fino a questa guerra. Una delle mie tele esposte a Todi è dedicata al concetto di confine secondo una interpretazione personale e libera dalla geografia. E.A: Attraverso la sua Geopoetica, come si immagina il mondo da qui ai prossimi 5 anni? e il “mondo dell’arte?” L.C: Attraverso la geopoetica mi rendo conto di quanto sia importante rispettare le nostre radici e la nostra storia. Sono molto curiosa di vedere come sarà il mondo tra cinque anni soprattutto per la Siria e l’Egitto. Ci sono due cose che mi incuriosiscono moltissimo, la prima riguarda i social network, apparentemente uniscono il mondo con un click, ma, a me sembra in modo molto superficiale, dall’altra, nella realtà delle “rivoluzioni arabe”, i paesi si stanno frantumando e probabilmente rimarranno divisi internamente in sistemi clanici e tribali come per esempio in Libia. Questo a me sembra un paradosso. L’onda dei social network, mondialmente unita, per lasciare una scia di terre separate. Spero che l’arte possa continuare a farci venire un ragionevole dubbio su cui riflettere.
EosArte: Fotografo dell’arte del teatro, osservatore attento, ha vissuto gli anni “caldi” delle sperimentazioni d’arte e della nascita della fotografia di Reportage. Oggi, chi è Claudio Abate? Claudio Abate: Una persona che ama la fotografia e i soggetti che passano attraverso l’obiettivo della macchina fotografica. Nonostante la tecnologia abbia cambiato il linguaggio, la lingua dell’arte è sempre riconoscibile a un occhio attento. E.A: Molti si ricordano di lei - oltre per la recente mostra su Carmelo Bene al Palazzo delle Esposizioni - per la foto a Pino Pascali, “Vedova Blu”. Oggi, guardandosi intorno, cosa vede, il suo occhio fotografico, del mondo dell’arte? C.A: In parte le ho risposto già. In fondo ho sempre seguito lo stesso criterio che ancora funziona nel catalizzare la mia attenzione: si tratta dell’emozione. Un’opera d’arte mi costringe ad essere ritratta perché mi trasporta dal punto di vista emozionale. Credo che ci siano dei giovani interessanti che lavorano nell’arte contemporanea e che, a prescindere dalla tecnica che usano, sono capaci di catturare la mia attenzione. Non è vero che la qualità della produzione artistica sia diminuita, forse diminuisce la nostra capacità di farsi toccare le corde del cuore. E.A: La fotografia. Premi, scuole, giovani che si avvicinano a questo mondo speranzosi. Che idea si è fatto ad oggi di questo mondo? Ha un consiglio da dare ai ragazzi che si avvicinano a questo mondo? E, secondo lei, che direzione sta prendendo la fotografia d’arte? C.A: L’unico consiglio che mi sento di dare ai giovani aspiranti fotografi è di non cadere nella trappola dell’estemporaneità. Ci vuole metodo e soprattutto un progetto. Nel mio caso, mi sono accorto di aver fatto un lavoro importante solo dopo trent’ anni di attività. Info: “CONTEMPORANEA. Riflessioni dal presente” 24 agosto - 1 settembre 2013 Palazzo del Vignola Via del Seminario, 9 – Todi
www.todifestival.it