Corriere della Sera , di Pierluigi Panza Come nelle indagini giudiziarie la «prova scientifica sta mettendo in secondo piano il «lombrosiano» sesto senso del commissario di polizia, così nel mondo dell’arte le analisi tecniche e i troppi errori di autografia commessi dai conoscitori stanno mettendo in discussione la figura dell’esperto attribuizionista. Una figura professionale sviluppatasi con Giovanni Battista Cavalcaselle e Giovanni Morelli (un medico che individuava gli autori sulla base dell’anatomia delle figure dipinte) nell’italia dell’Ottocento e che ha avuto grande successo nel passato secolo. Agendo, per , talvolta in malafede e di tanto in tanto riempiendo i musei specie americani di falsi, come racconta lo storico dell’arte inglese John Brewer in Ritratto di dama partendo da un caso embiematico: il processo a carico del critico d’arte americano Joseph Duveen, intentato dai coniugi Andrée e Harry Hahn, proprietari di una versione di La Belle Ferronière di Leonardo. Duveen, sostenuto anche dal pareri di Bernard Berenson e di altri mammasantissima della critica, affermò che quel regalo di nozze pervenuto agli Hahn dalla zia francese non fosse un autografo di Leonardo. Gli Hahn, che volevano vendere la tela, lo citarono per danni e i giudici del processo che ne seguì ritennero Duveen incapace di provare la propria affermazione. E così, nella primavera del 1930 fu costretto a pagare 6o mila dollari alla coppia. Ma questo è solo un caso irrisolto di attribuzione tra molti casi risolti a sfavore di illustri esperti. Tra le peggiori sconfitte della connoisseurship vanno indicati i procedimenti penali contro ll mercante d’arte Otto Wacker (Berlino 1932), per aver falsificato una serie di van Gogh ritenuti veri dai conoscitori, e contro il pittore olandese Hans van Meegeren (Amsterdam 1945) per aver copiato dipinti di Vermeer che esposero gli esperti al ridicolo. Cose vecchie, si dirà. Ma si può proseguire. L’errata attribuzione a Modigliani da parte dell’accademico Giulio Carlo Argan delle finte teste realizzate da quattro ragazzi e ritrovate nel Posso Reale di Livorno è del settembre 1984. E anche dopo la «prova televisiva» offerta dai ragazzi Argan affermò con ostinazione: «La prova televisiva è stata un’esibizione pietosa. Chiunque avrebbe potuto constatare come quei giovani non fossero in grado di fare alcunché. Escludo nel modo pi assoluto che a realizzare la testa ripescata siano stati loro». L’anno scorso venne mostrato a «Porta a Porta» il Narciso attribuito a Caravaggio: ma l’autografia dell’opera è stata da tempo spostata dal maggiori conoscitori allo Spadarino. Sui Caravaggio veri e presunti, da Longhi in poi, le attribuzioni si sono sprecate. Di questi giorni è la controversia sull’attribuzione a Michelangelo del Crocifisso in legno di tiglio databile tra il 1494 e il 1495 acquistato dallo Stato italiano per tre milioni; il ministero ha dichiarato che aveva avuto «l’ok dai tecnici» nel 2007, ma la Corte dei Conti ha avviato una istruttoria per possibile «danno erariale» e il caso è finito nei Palazzi di Giustizia. Tutto questo mostra, come minimo, che è tra montata la stagione dei cosiddetti grandi conoscitori come Bernard Berenson, Roberto Longhi e Federico Zeri. I quali, tuttavia, «non furono per nulla immuni da errori e discutibili attribuzioni», afferma anche ll conoscitore di oggi, Vittorio Sgarbi. Che enumera vari aneddoti: «Giuseppe Fiocco lasciò andare in Svizzera un Giorgione, ma lo attribuì solo quando il quadro era già a Londra. Andrea Busini Vici comprò per pochi soldi la parte superiore delle Cortigiane di Carpaccio. Quando li quadro andò al Getty fece l’attribuzione. Il venditore gli mosse allo ra causa e il giudice diede torto al compratore, che fu costretto a pagare un risarcimento. Quanto al Rinnegamento di Pietro di Caravaggio, Longhi disse che era di Battistelio Caracciolo; ma sapeva che era del Merisi. Ora il quadro è a New York». C’è poi il caso della cosiddetta Morte di Sansone di «Rubens» del Getty: l’opera era stata venduta dalla famiglia Corsini per 400 milioni nel 1991 a tre antiquari milanesi. Questi l’attribuirono a Rubens e la rivendettero al Getty che fece periziare l’opera da Michel Jaffè per 7 milioni di dollari. Quando nel 99 l’opera tornò in mostra in Italia, il conoscitore Edward Safarik, nominato dal pretore di Firenze nel processo contro la famiglia Corsini, stabilì che l’opera non era di Rubens ma di autore sconosciuto. «Ciò non toglie conclude Sgarbi che non c’è possibilità di essere un critico d’arte se non si è attribuizionisti. L’attribuzione trasforma un’opera da morta a viva. L’occhio del conoscitore mette insieme gli elementi costitutivi dell’opera, e sa attribuire soprattutto le opere dei minori e sconosciuti». Ma anche sopravvivendo, la figura dell’esperto è, come minimo, costretta a cambiare. «La sua profes sione si fonda su un sapere specifico - afferma la soprintendente Cristina Acidini - e non delegabile. Ma oggi è diventato interdisciplinare. Il conoscitore somma la sua esperienza nata dalla conoscenza diretta delle opere con la ricerca d’archivio e le incrocia con le indagini scientifiche, come la luminescenza per la datazione». Luminescenza, esame i suo libro del carbonio 14, indagini geotermiche sono oggi strumenti più oggettivi per datare e attribuire le opere - non per comprenderle - dell’occhio del dipinto conoscitore. Non c’è convegno dove non vengano conteso presentate «nuove scoperte» scaturite da riflettografia multispettrale di Leonardo che vede sotto i pigmenti, o da indagini laser a elettroni liberi, o altre onde elettromagnetiche, condotte sui dipinti. Quel che resta dell’esperto d’arte è passato dall’essere «solista» come Berenson («che vendette opere a mezza America che non corrispondevano a quanto diceva») a «direttore d’orchestra», conclude la Acidini. «Ma bisogna anche rassegnarsi: alcune controversie di attribuzione non sono risolvibili in alcun modo