Presentazione del restauro della Croce dipinta di Castiglion Fiorentino

Torna visibile al pubblico la grande Croce dipinta di Castiglion Fiorentino: una delle quattro croci duecentesche conservate nel territorio aretino, tra cui quella attribuita a Cimabue.
Sotto secoli di pesanti rifacimenti è emerso un capolavoro di cui nessuno poteva immaginare l’esistenza. Chi fu il grande maestro che la dipinse? Chi furono i committenti? Interrogativi che forse finalmente potranno trovare una risposta
Da giovedì 24 aprile tornerà visibile al pubblico la grande Croce dipinta duecentesca, conservata nella Pinacoteca di Castiglion Fiorentino (Arezzo).
Si tratta di un restauro che ha portato alla luce un capolavoro di cui nessuno poteva immaginare l’esistenza, nascosto sotto secoli di pesanti rifacimenti e ridipinture che alteravano  la superficie pittorica originale. Siamo di fronte ad un’importante scoperta che dovrà essere studiata ed approfondita, ma già da oggi l’eccezionale qualità pittorica ed esecutiva, la ricchezza della policromia originale, l’impiego di materiali preziosi e alcuni elementi unici ed originali, come le vene in rilievo nella figura del Cristo, indicano che la Croce non è un’opera minore, né una semplice replica derivata dalla Croce di Cimabue in San Domenico ad Arezzo, come si riteneva fino a prima del restauro. Alcuni interrogativi rimangono aperti e forse finalmente potranno essere risolti: chi la dipinse e quando? Chi furono i committenti?

prima del restauro
Iniziato nel 2002 per volere della Soprintendenza per i Beni A.A.A.S. di  Arezzo, allora diretta da Anna Maria Maetzke, in accordo con il Comune di Castiglion Fiorentino e l’Istituzione Culturale ed Educativa Castiglionese, il restauro è stato finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con un contributo della Provincia di Arezzo per le indagini diagnostiche. Sotto la direzione dei lavori di Paola Refice, il restauro è stato eseguito magistralmente da Paola Cardinali e Alberto Spurio-Pompili, con la collaborazione di Massimo Fumagalli per il supporto ligneo e Ida Bigoni per le dorature. Il restauro della Croce di Castiglion Fiorentino fa parte di un più ampia campagna, diretta dalla Soprintendenza, che ha interessato quattro croci dipinte duecentesche conservate nel territorio aretino: oltre a questa, la Croce del Cimabue in San Domenico, quella della Chiesa di San Francesco e quella attribuita a Segna di Bonaventura nella badia delle sante Flora e Lucilla, tutte ad Arezzo.
La Croce, metri 4,17 x 3,27, rappresenta il Cristo Patients. L’apertura delle braccia (metri 2,54) corrisponde circa alla sua altezza, secondo i canoni di armonia delle proporzioni del tempo. In alto, nella cimasa, la Madonna Assunta con due Angeli; alla destra, la Madonna Addolorata; alla sinistra, San Giovanni; in basso, ai piedi del Cristo, una figura femminile fino ad oggi identificata nella Maddalena. Manca nella parte alta della Croce il clipeo, con la figura del Redentore. La Croce conserva tutta la sua cornice originale, di circa 2,5 centimetri di spessore, ad eccezione della parte finale in basso dove fu ricostruita sulla base di quella originale.
L’opera fu restaurata e ridipinta a più riprese nei secoli, l’ultimo intervento documentato è quello di Domenico Fiscali nel 1919. La superficie pittorica, prima del restauro odierno, si presentava coperta da una patina scura di tonalità brunastra che impediva di vedere la ricchissima policromia sottostante con gli innumerevoli passaggi di colore, mentre le stuccature e le pesanti ridipinture, molte delle quali riconducibili al restauro del Fiscali, facevano apparire la tecnica esecutiva grossolana e povera. Dopo il restauro, recuperata la policromia originale, l’opera presenta una grande qualità pittorica ed esecutiva come nel volto del Cristo, dove la levigatezza del colore e la morbidezza della pennellata sorprendono per il periodo, mentre la figura, liberata dal pesante contorno bruno che la appesantiva, risulta adesso esile ed elegante.
La Croce fu eseguita con una tecnica estremamente raffinata, impiegando in abbondanza materiali preziosi, come lapislazzuli, oro, lacche rosse e verdi, usati anche su parti del dipinto normalmente eseguite con pigmenti più poveri. Ogni campitura è ottenuta con numerosi e successivi strati di colori diversi, stesi in maniera sorprendentemente ordinata ed omogenea, alcuni dei quali dello spessore di una velatura. Nel bruno dei capelli del Cristo, si contano fino a dieci stesure di colore, fra cui alcuni strati di lacca, dello spessore di 10 micron ciascuna. Gli incarnati sono realizzati partendo da uno strato di verdaccio su cui il pittore dipinse a tratteggio e per strati successivi i colori sempre più chiari, fino ai rosati e alle luci bianche. La meravigliosa veste viola di San Giovanni, a base di lapislazzuli, è resa con innumerevoli passaggi di tonalità che riescono a dare il senso del volume dei panneggi.
Anche il disegno preparatorio mostra una grande padronanza: l’artista dopo aver inciso sulla preparazione bianca gli ingombri delle figure, esegue il disegno con un pennello a mano libera, senza ripensamenti.
“E’ evidente la presenza sull’opera di più mani e non tutte dello stesso livello di perizia tecnica e stilistica”, affermano i restauratori nel volume “Restauri nell’Aretino. Croci dipinte tra Due e Trecento”: i tabelloni appaiono realizzati da una mano più “primitiva”, meno evoluta di quella che ha dipinto il Cristo.

dopo il restauro
Un altro elemento eccezionale della Croce Castiglion Fiorentino è quello delle vene in rilievo nelle braccia e nelle gambe del Redentore, dove sembra scorrere il sangue e pulsare la vita, un particolare che accentua drammaticamente la veridicità dell’opera. Per quanto ne sappiamo, ad oggi nessun altro dipinto dell’epoca presenta questa caratteristica, riscontrata solo in alcune sculture. Per questo prima del restauro si pensava ad un’aggiunta ottocentesca realizzata a cera, ma l’indagine stratigrafica ha accertato che le vene furono realizzate al momento della preparazione del dipinto, con lo stesso materiale.
Sempre nella figura del Cristo, un’altra scoperta: sotto una vecchia ridipintura, è apparsa la capigliatura originale, con i capelli annodati dietro la testa, un elemento importantissimo di chiaro riferimento orientale.
Da approfondire è inoltre la scrittura che appare sul cartiglio del dipinto, al di sopra della testa del Cristo: “IKC: NAZARENU REX JUD’O”. Se si trattasse, come sembra del trigramma IKC in lettere greche o IHC in latino, saremmo di fonte ad un elemento di novità rispetto alle croci del tempo che presentano il trigramma IHS in latino.
Infine la figura femminile ai piedi del Salvatore, fino ad oggi identificata nella Maddalena, dovrà essere studiata di nuovo con attenzione: tolte le ridipinture grossolane con cui era stata realizzata una folta capigliatura, gli unici elementi originali che rimangono sono parti di un’aureola dorata, di un manto azzurro e di una veste rosso viola. L’intera zona è molto abrasa e per non trasformare la figura in un frammento ancora più lacunoso si è scelto di lasciare alcune parti non originali per aiutare la lettura.
Se non è la Maddalena allora chi è la figura femminile rappresentata in basso? Questo non è l’unico mistero che avvolge il dipinto: considerata da sempre una Croce francescana, l’opera non mostra né l’iconografia di San Francesco né quella di Santa Chiara. Ma allora si tratta veramente di una Croce francescana? E soprattutto da chi e quando il dipinto fu eseguito? Chi era il committente?
Quello che sappiamo con certezza, come testimoniano più fonti, è che l’opera proviene dalla Chiesa di San Francesco a Castiglion Fiorentino, eretta intorno alla metà del XIII secolo, dove era conservata prima “sopra “l’Altare del Crocifisso”, poi “sopra la Porta Maggiore” ed infine, dopo il 1570, nell’andito della Sacrestia. Tra le fonti conosciute fino ad oggi, una solamente attribuisce quest’opera al grande Cimabue: “Nel Convento non vi ha cosa, a riserva dell’antico Crocifisso, opera di autore Cimabue, come pare, che meriti grande attenzione” (padre Nicola Papini, ultimi anni del XVIII, carta 523, conservata a Roma presso la Basilica dei Santi Apostoli nell’Archivio Generale). Un fatto isolato, ma molto significativo, come sottolinea Paola Refice nel volume da lei curato.
In passato il dipinto fu attribuito dalla critica prima a Margaritone poi a seguaci di Coppo di Marcovaldo, mentre in tempi più recenti si parlava quasi di una “derivazione incolta” della Croce di San Domenico ad Arezzo del Cimabue, “e sempre con un richiamo alle opere di Giunta Pisano”.
Adesso dopo il restauro, si aprono nuovi scenari e sarà forse possibile dare un’attribuzione definitiva, ma anche ripensare la datazione dell’opera che potrebbe essere non più l’ultimo trentennio del Trecento, ma più antica.
Certo è che siamo di fronte ad un dipinto che ebbe una grande committenza, testimoniata anche dall’impiego di materiali preziosi in grande quantità.  E molto interessante è il fatto che la chiesa da dove proviene l’opera sia legata ad una importante personalità del Medioevo, ovvero Mansueto da Castiglione, frate Mansueto poi beato Mansueto. Il francescano originario di Castiglion Fiorentino che rivestì ruoli chiave per ben quattro pontifici tra cui Alessandro IV, di cui fu anche cappellano. A lui si deve la trattativa e il processo di riappacificazione con i pisani, conclusasi con la revoca dell’interdizione nel 1257. Per questo Mansueto si guadagnerà la stima incondizionata e la venerazione dei pisani che in segno di riconoscenza più volte faranno importanti donazioni, con cui il frate farà costruire in quegli anni  anche il convento e la nuova chiesa di San Francesco. L’ultima missione per conto di papa Alessandro IV, ma anche la più importante, sarà quella del 1258 quando frate Mansueto sarà inviato come legato pontificio a negoziare la pace tra Francia ed Inghilterra: i frutti di tale trattativa saranno gli accordi di Parigi del 1259, con cui si pone fine al conflitto con l’Inghilterra. Il ritorno dalla Francia è per frate Mansueto trionfale, poiché il re in persona gli dona due preziose reliquie: un frammento della Croce ed una spina della corona di Gesù. In cambio, Luigi IX, pone esclusivamente la raccomandazione di essere ricordato nelle orazioni del venerabile frate.
Come non pensare dunque che un’opera come la Croce dipinta non possa essere legata in qualche modo alla presenza di un personaggio di così grande spessore: “Morto in Castiglione in odore di santità e non senza miracoli”?
La Casa Editrice EDIFIR-Edizioni Firenze, ha pubblicato in questi giorni il volume “Restauri nell’Aretino. Croci dipinte tra Due e Trecento” a cura di Paola Refice.
inacoteca di Castiglion Fiorentino
Via del Cassero, Castiglion Fiorentino (Ar)
Info: Tel. 0575 – 657466 – 659457
Orari: 10.00/12.30 – 16.00/18.30
Biglietto: singolo 3,00 euro, ridotto 2,00
Visita dei 3 musei costo 5,00
http://www.icec-cf.it/


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