La mostra degli antichi tessili del Fondo Edifici di Culto è una occasione unica per gli appassionati di quest’arte impropriamente detta minore per vedere da vicino opere normalmente invisibili, custodite negli armadi delle Sacrestie.
di PierLuigi Massimo Puglisi
Con due euro (non giudicate la qualità della mostra dal prezzo del biglietto, perché allora questa meriterebbe almeno i soliti otto euro di ingresso) si entra in una mostra eccezionale che rischia di passare sotto silenzio, sommersa da eventi culturali più o meno eclatanti e spesso poco interessanti, ma che invece merita più di una visita.
La mostra è presso la sede della Fondazione Memmo a Palazzo Ruspoli, in via del Corso, e ha come titolo “Antichi telai. Tessuti d’arte del patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno.
La prima sala è senza dubbio bella, ma la seconda dà a tutti un tuffo al cuore: cinque straordinari grandi paliotti siciliani ricamati a corallo, sontuosi, in lama d’oro, coralli, granati e madreperle, sono quelli delle chiese di San Giuseppe dei Teatini e di San Francesco di Paola di Palermo.
Opere di questo livello di maestria sono per chiunque una sorpresa: spettacolari e arditi nella impostazione architettonica, ambiziosi nell’intenzione del progetto, ineccepibili per l’amore e la maestria di esecuzione. Il restauro di grande livello.
A sinistra: Maestranze palermitane, Paliotto d’altare con prospetto architettonico di interno con loggiato ed esedra. Fine del XVII secolo. Fili di seta policroma, d’oro e d’argento con applicazioni di grani di corallo e granati rossi, Palermo, chiesa di San Giuseppe dei Teatini
Proseguendo sono esposti i panni ricamati dai “Maestri Ricamatori” di Napoli, provenienti dai complessi monumentali di Santa Chiara e di San Domenico Maggiore; i broccati catanesi delle chiese di San Benedetto e di San Camillo; i seicenteschi velluti ricamati, i lampassi e i lussuosi ricami provenienti da alcune delle più belle chiese e basiliche di Roma; i fastosi ricami in oro della chiesa di San Domenico di Bologna; i damaschi seicenteschi delle chiese di S. Maria Novella e di San Marco di Firenze; i settecenteschi damaschi broccati del Museo civico di Bracciano; le regali “Madonne vestite” di Firenze, di Roma e di Napoli, che costituiscono una interessante testimonianza di ritualità matriarcale.
Le aree storico-geografiche di provenienza sono i territori che fino al secolo scorso costituivano il Granducato di Toscana, lo Stato Pontificio e il Regno delle due Sicilie, il che fa pensare che prima o poi a questa seguiranno, è assolutamente auspicabile, altre mostre che facciano vedere la sapienza dei manufatti del nord Italia, diversi e singolari, come tanto complessa e vasta è la nostra identità culturale.
Tutte le sale mostrano scelte espositive sapienti che rendono protagonista l’arte del tessuto e del ricamo, ponendo a confronto le varie culture tessili di un Paese che possiede il complesso di arredi più ricco del mondo.
Sete e filati preziosi dei secoli XVII, XVIII e XIX, prendono forma e valore simbolico nei corredi liturgici che si adeguano alle particolari funzioni e festività e sottolineano il carattere di ogni evento esaltando il rigore formale ed estetico della liturgia stessa.
In tanti anni di girovagare fra mostre culturali ed antiquarie non mi era mai capitato di vedere una esposizione che meglio mettesse in luce l’arte tessile e desse una seria opportunità di conoscenza di questo settore, impropriamente classificato fra le arti minori, ma che di minore non ha proprio nulla.
La mostra si deve al Fondo Edifici di Culto che è costituito da oltre 700 edifici sacri e dalle opere d’arte mirabili custodite al loro interno. L’attività del FEC è non solo insostituibile, ma lodevolissima nei risultati. Le opere in mostra sono tutte restaurate con grande impegno e maestria, scelte con sapienza, e esposte in modo semplice suggestivo e senza roboante retorica, quando, conoscendo le chiese italiane, non è difficile immaginare quanto vasto sia il materiale e disposizione, ma anche quanto grande debba essere la necessità di intervento per lo stato di conservazione di immaginabile degrado: quasi tutte le chiese hanno sacrestie dai cui pavimenti sale umidità fino alle pareti e agli armadi, e dove dorature, tessuti, dipinti e materiale ligneo sono in grande quantità ammassati. Oltretutto raramente visibili.
Ben venga dunque l’attività non solo di gestione e conservazione, ma di esposizione del FEC, così come quella dei tanti musei diocesani. Tutte miniere di sapere per una identità che rischiamo di perdere, non solo per la difficoltà di gestire un patrimonio immenso, ma anche per opera dei soliti imbecilli, i ladri d’arte, che seppur diminuiscono per il grande lavoro dell’NTP, sono sempre troppi e troppo poco perseguiti.
Ottimo il Catalogo, con belle immagini e schede esaurienti, un lavoro da tenere nella biblioteca di un antiquario, appassionato o studioso.
Una parola infine sul mercato di questo genere di opere:
ormai pressoché inesistente, come già accaduto per legature alle armi, quasi introvabili se non in qualche asta, le pagine miniate (spesso nei decenni passati riutilizzate per fare paralumi), la numismatica e tanto altro materiale antiquario che non ha l’attenzione delle nuove generazioni.
Sempre meno gli antiquari che se ne occupano, e comunque sono sempre stati pochi quelli che con pazienza e pervicacia hanno offerto al pubblico dei collezionisti qualche rarità del campo tessile, al punto che si possono citare a memoria rischiando poche omissioni: Bellini e Mirella Piselli a Firenze, antesignani di proposte costanti di collezionismo di tessuti antichi, poi Sandro Morelli, sempre a Firenze, che in ogni edizione di palazzo Corsini ha esposto qualche rarità tessile, Ruggero Longari a Milano. Poi va ricordata di Sara Veneziano, Roma, almeno per una memorabile tonacella fiorentina del XV secolo esposta alla biennale di Palazzo Venezia di diversi anni fa e degna di qualsiasi museo.
Poi quasi nulla.
Anche nel mercato delle aste poche battute di tessuti antichi: da Finarte Milano, già qualche anno fa, per l’esperienza specifica di Sorgato, che ha raccolto dopo molti anni di esperienza collezionistica, il tentativo di aprire un varco per la diffusione del collezionismo di questo genere, strada tentata alla fine degli anni ‘80 dalla fiorentina Casa d’Aste Pitti, che proponeva una volta l’anno all’inizio degli anno ‘90 una battuta d’asta di Tessuti Antichi, Pizzi e Merletti, al 15 di Via Maggio, proprio dove oggi è la Casa d’Aste Pananti.
Nelle fiere di antiquariato sempre meno sono visibili tessuti e tonacelle, qualche volta offerte, quasi sempre sciupate e quindi negli anni passati riusate per ricavarne cuscini e paralumi, quando ben pochi hanno capito che spesso queste opere, anche se frammenti , hanno una tale qualità estetica, da poter essere con gran piacere inquadrate ed appese accanto dipinti antichi e moderni. Quindi degne di costituirne una collezione.
Spesso quando si vede qualche discreto tessuto antico, per esempio un bel frammento del tardo settecento, anche grandicello, nella vetrina di qualche antiquario, episodicamente, il prezzo può andare fra i 1000 e i 2500 euro, secondo grandezza e stato di conservazione. Niente in paragone al merito dell’oggetto.
Se invece si trattasse di un Paliotto ricamato a corallo come quelli esposti, cioè ben conservato, restaurato, con debita scheda e di indubitabile lecita provenienza (cosa fondamentale), non mi meraviglierebbe una richiesta ben superiore ai 250.000 euro, perché in fin dei conti, non dovrebbe costare meno di un dipinto di bella qualità della stessa epoca, ma è più inconsueto e raro a reperire.
Se un neo proprio si deve cercare in una mostra come questa, ma che hanno tutte le msotre, è solo quello di non indicare in fondo, in una paginetta, il valore economico di alcune opere, perché gli italiani purtroppo misurano la bellezza dalle cifra di mercato, e la rispettano solo in conseguenza, anche se quelli esposti sono, come spiegato, oggetti fuori mercato. Ed infine dal non indicare quali sono in Italia le scuole dove apprendere il restauro del tessuto, che con tanti studenti e laureati in pieno precariato, non sarebbe male.
Hai visto mai che a qualcuno venisse voglia di imparare una professione, il restauro del tessile, con cui certamente non si diventa ricchi, ma di lavoro ce ne sarebbe, e tanto.
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