LE DIMORE STORICHE E L’IMU «MOLTI COSTRETTI A VENDERLE» LA PROVOCAZIONE DEI PROPRIETARI: TOGLIETE I VINCOLI

 Corriere della Sera, Paolo Conti –
«Sarei un pazzo se immaginassi di mettere le nostre proteste sullo stesso piano dei drammi che affliggeranno con l’Imu i pensionati proprietari di piccole case. Ma con il rincaro in vista, molti di noi saranno costretti, per poter pagare l’Imu, a sospendere i lavori di manutenzione, a rischiare il degrado delle loro residenze, oppure a chiuderle, o a venderle con esiti a dir poco incerti». Moroello Diaz della Vittoria Pallavicini è, col fratello Sigieri, il futuro erede del nome e dei beni di sua madre Camilla Pallavicini. Cognome legato alla storia del papato e dell’arte (stupefacente la Galleria di palazzo Palla-vicini, tuttora nelle mani della famiglia, con Guido Reni, Botticelli, Lorenzo Lotto). Moroello Diaz, che più di dieci anni fa ha fondato un gruppo finanziario internazionale attraverso il quale si occupa di energie rinnovabili, è dal 2010 presidente dell’Adsi, l’Associazione dimore storiche italiane: cinquemila iscritti, 17 mila tra palazzi patrizi di città (a Roma palazzo Colonna e palazzo Doria Pamphilj), ville, castelli.
Anche l’Adsi, come tutta Italia, è alle prese con i calcoli dell’Imu. Battuta inevitabile: anche i ricchi piangono… Moroello Diaz sorride: «So che parliamo comunque di privilegi. Basterebbe quello estetico. Ma ci sono cifre e dati. Se l’Imu venisse applicata con i parametri annunciati, l’aumento arriverebbe al 600%. Gran parte dei proprietari di dimore storiche hanno ormai redditi medi e già impegnano tutte le energie per la manutenzione di un bene di famiglia. E palazzi, castelli, ville fanno parte integrante del Patrimonio culturale italiano, della storia dei tessuti urbani e delle campagne, tutelati dall’articolo 9 della Costituzione.
Non solo, ma questi proprietari sottraggono i loro beni a possibili usi impropri». La prospettiva di quote altissime è più che verosimile: secondo una nota del Dipartimento delle Finanze dell’ottobre scorso, le attuali agevolazioni (applicazione della minore tra le tariffe d’estimo) portano a un mancato gettito di 23 milioni. Ma non è giusto che chi possiede un castello paghi di conseguenza? «Se un palazzo storico ha al suo interno uno spazio commerciale, come può succedere a via Condotti a Roma, è giustissimo che il proprietario paghi quanto deve. Ma è assurdo considerare la cubatura di una villa storica con lo stesso parametro di un centro commerciale.
Prendiamo il Castello Odescalchi di Bracciano. L’Imu dovrebbe passare dagli attuali 15 mila euro ago mila. Non c’è affitto per matrimoni, non c’è attività compatibile che possa produrre quel gettito. E la manutenzione ordinaria e straordinaria? Impossibile, con quei 90 mila euro da spendere ogni anno». Resta il fatto che parliamo di proprietari di beni straordinari… «Chi lo nega? Ma quasi nessuno sa che questi beni straordinari sono sottoposti a vincoli giustamente rigidissimi secondo la legge di tutela 1089 del 1939: impossibilità di aumentare le cubature anche in minima parte, divieto di adibire quelle costruzioni a usi incompatibili col loro carattere storico, di venderle senza avvisare il ministero perché possa esercitare la prelazione, obbligo di aprirle al pubblico. Insomma, se possiedo un castello non posso certo inserirci un centro commerciale, se ho un palazzo del 700 non posso naturalmente ridurlo in mini-appartamenti. E siamo tutti d’accordissimo. Ma le precedenti agevolazioni fiscali, calcolo dell’Ici alla minore tariffa d’estimo e sgravi Irpef, ci permettevano di far coincidere gli interventi di manutenzione e restauro con i nostri bilanci familiari».
Quindi, cosa chiedete? «Una revisione delle misure, un trattamento differenziato rispetto alle costruzioni commerciali moderne. La sentenza 11369 del 2003 della Corte di Cassazione conferma come sia giusto un regime fiscale diverso, proprio per gli obblighi che abbiamo». Ma facciamo l’ipotesi che quei 23 milioni di mancato introito «convincano» il ministero dell’Economia e il governo più di qualsiasi altra argomentazione, cosa pensate di fare? 6aremo costretti, come associazione, a un atto clamoroso: chiedere la revoca dei vincoli. Se abbiamo uguali doveri rispetto a un qualsiasi condominio allora vogliamo uguali diritti: sfruttare le nostre proprietà senza legami. So bene che è una provocazione, nessuno pensa di distruggere un patrimonio. Ma chiedo: tantissimi di noi, come faranno?».


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