L’artista sudcoreano Daesung Lee (Busan, 1975) espone a Genova all’interno del progetto Memorie di equilibrio. Water & land grabbing a cura di Anna d’Ambrosio – Amy-d Arte Spazio, economART – insieme agli artisti Mattia Novello, Mirko Cecchi, Lia Pascaniuc, Diamante Faraldo, Maria Teresa Gonzalez Ramirez, Streamcolors e con un’installazione site specific a cura di Smart Materials IIT e KUBOEffettiSpeciali. In occasione di questa importante iniziativa ho voluto rivolgere a Daesung Lee alcune domande per approfondire la sua produzione artistica e l’esperienza espositiva che ha recentemente avviato anche in Italia.
di Vittorio Schieroni
Vittorio Schieroni: Daesung, una selezione di tuoi lavori tratta dalla serie Futuristic Archaeology del 2014 è inserita nel progetto Memorie di equilibrio in mostra in questi giorni al Palazzo della Borsa di Genova in occasione della tredicesima edizione del Festival della Scienza. Puoi illustrare il tema che sta alla base delle opere presentate?
Daesung Lee: Se si guarda alla storia dei musei in Occidente, quasi tutte le collezioni provengono da colonie. Oggetti e creature vengono prima raccolti, poi catalogati e, infine, esposti. È interessante notare come ciò che è esposto rappresenta culture che sono, solitamente, ormai sparite, il più delle volte distrutte dalle culture stesse che le espongono. Esattamente come in passato, anche ai giorni nostri ci sono culture che stanno scomparendo a causa dei cambiamenti climatici. Ho, quindi, immaginato di portare questi concetti in luoghi reali, in un tempo reale e con gente reale, in un processo opposto a quello museale classico che ricrea un’immagine del passato. Ho immaginato un museo del futuro.
Arte e scienza. Quali possono essere, secondo il tuo parere, le interrelazioni virtuose tra questi due ambiti all’apparenza tanto distanti?
La scienza è una prospettiva sul mondo. L’arte è, essenzialmente, lo stesso: mostrare la propria idea della società, trasmettere il proprio modo di vedere il mondo. In passato i due ambiti non erano separati, Leonardo da Vinci ne è la prova lampante; la separazione tra le due è un concetto recente. La scienza e i suoi studi hanno influenzato l’arte in varie epoche: si pensi all’Impressionismo, dove le pennellate di colore rappresentano, di fatto, le particelle di luce. La scienza è un medium che può spingere a oltrepassare il confine dell’arte tradizionale. Ad esempio, l’arte interattiva e la new media art vanno sempre di pari passo con lo sviluppo tecnologico. La tecnologia spinge sempre gli artisti ad andare oltre. Ma anche l’arte ha influenzato e anticipato la tecnologia; si pensi a Jules Verne e al suo Dalla Terra alla Luna o a 2001: Odissea nella Spazio di Stanley Kubrick. Si parte dall’immaginare cose apparentemente impossibili, ispirando scienziati a realizzare tali sogni. Quindi, per me, arte e scienza hanno un rapporto di interazione: per entrambi gli ambiti si tratta di comprendere il mondo in un modo diverso.
Globalizzazione, tragedie ambientali, sfruttamento delle risorse naturali sono alcuni dei temi che prendi in esame con l’obiettivo della tua macchina fotografica. Quali sono, secondo te, gli effetti che l’arte può produrre quando indaga questioni sociali?
L’arte, nella società, ha sia una componente settoriale sia pubblica. Penso che la sua funzione sociale sia quella di parlare e interrogarsi sul sistema e sulla direzione intrapresa dalla società. La globalizzazione è vista come un fenomeno recente, ma in realtà ha una storia molto lunga: si pensi al caffè, al tè, alle spezie… Come fanno gli italiani ad avere il sugo al pomodoro per la pasta e il caffè? La globalizzazione è la risposta. Per me, la funzione dell’arte è ricordare alla gente come funziona il sistema nel profondo e continuare a porre domande su di esso. È positivo per le persone? E per l’ecosistema? Considero la globalizzazione come una questione da affrontare, perché richiediamo più di quanto necessitiamo in realtà, causando un “effetto farfalla”. Quello che mangiamo è controllato dal mercato internazionale, dalla Borsa: non c’è più un controllo diretto su tali questioni. È una tematica politica ed economica molto importante, anche per quanto riguarda l’indipendenza dei paesi.
Nel 2014 hai iniziato a esporre anche in Italia. Quali sono le tue impressioni su questa esperienza italiana e milanese in particolare?
Direi che la mia esperienza a Milano con la galleria Amy-d Arte Spazio è stata molto positiva e fruttuosa, come dimostra la mia presenza alla tredicesima edizione del Festival della Scienza a Genova.
Quando è iniziato e come si è sviluppato il tuo percorso artistico?
Ho studiato fotografia all’università, ma all’inizio ho lavorato nell’ambito dei reportage. Quando mi sono trasferito in Francia, cinque anni fa, sono entrato in contatto con varie agenzie stampa e riviste e ho realizzato che la prospettiva sul mondo è molto diversa. Se si guardano bene questi prodotti, hanno un modo molto particolare di vedere il mondo, ricco di cliché. Una prospettiva ancora molto coloniale, in un certo senso. Così ho cercato e trovato una mia via: non ero d’accordo con questo punto di vista. È la ragione per cui ho questo approccio nel mio lavoro fotografico: vedere i fatti in profondità e in maniera rispettosa.
Puoi anticipare alcune iniziative che hai in programma in futuro?
Sono sempre interessato a temi sociali, in generale. In questo momento, ho parecchi progetti in mente. Alcuni riguardano l’immigrazione e gli scarti elettronici. Non si tratterà solo di un lavoro fotografico, vorrei ampliare i media usati. Ma tutti questi soggetti si inseriscono nel tema della globalizzazione e dei suoi effetti.
Intervista realizzata nel mese di ottobre 2015.
Le immagini che accompagnano il testo si riferiscono al progetto Memorie di equilibrio. Water & land grabbing a Palazzo della Borsa di Genova (21 ottobre – 1 novembre 2015).
Si ringrazia Stephanie Carminati per la collaborazione.
Lascia un commento