Milano Finanza, Carmine Sarno - Il Moma di New York, da solo, riesce a raccogliere più donazioni di tutti gli enti culturali e musei d’Italia. Oltre 135.000 dollari l’anno, una volta e mezzo l’ammontare delle libere elargizioni italiane. «In Italia invece il privato che vuole donare a un museo o investire su una determinata opera d’arte è disincentivato» ha spiegato a MF-Milano Finanza il vicepresidente dell’Associazione Civita, Bernabò Bocca. Senza contare il fatto che in Italia la normativa fiscale è complessa e poco premiante (detrazione al 19% perle erogazioni liberali, contro il 30% di Spagna e 66% della Francia), e «una volta effettuata la donazione è quasi impossibile farsi rilasciare dai musei la documentazione da portare al proprio commercialista per le detrazioni fiscali» Serve quindi una correzione di rotta le cifre in ballo sono rilevanti. Secondo le stime dall’Associazione Civita, l’ammontare delle potenziali donazioni di privati intercettate dalle postazioni museali sarebbe pari a 279 milioni di euro. Nel 2009, invece, non hanno superato i 90 mila euro. Secondo Bocca, «oggi non si può assolutamente sapere che fine faccia la propria elargizione, c’è una mancanza assoluta di trasparenza». Garantendo la tracciabilità delle donazioni, è emerso da un studio di Civita, si avrebbe un forte incremento delle elargizioni: 76% sulle quote minime donate e 90% su quelle massime. Per rendersi conto della situazione italiana basta citare solo un dato: i contributi delle persone fisiche tra il 2005 e il 2009 sono stati pari allo 0,2% del totale contro il 75,8% degli Usa. Tra tagli e incapacità di spendere (nel 2010 non sono stati utilizzati fondi per 545 milioni) la cultura italiana rischia così di affondare. Una mano, almeno, arriva dalle aziende che hanno puntato sulla cultura oltre 30 milioni negli ultimi 4 anni: la deducibilità è totale ma c’è il divieto ad utilizzare l’operazione come comunicazione d’impresa Altro discorso per quanto riguarda le sponsorizzazioni, che raggiungono i 2-3 miliardi l’anno: «sebbene il regime Iva sia al 20%» ha spiegato Bocca. «le società preferiscono investire dove il ritorno d’immagine è garantito».