Moro, l’Archivio di Stato salva gli atti giudiziari e le ultime lettere

 L’Unità, Jolanda Bufalini, [email protected]
Una riserva di democrazia. Come altrove, di fronte ai ghiacciai argentini, ti coglie l’emozione di essere al cospetto delle riserve di acqua dolce del Pianeta, così entrando negli archivi della Corte d’assise del Tribunale di Roma, l’emozione è quella di trovarsi in una riserva della democrazia: centinaia di faldoni, nei quali è racchiusa la storia recente e tragica d’Italia. 380.000 pagine dei processi (I,11, III, IV) per il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e della sua scorta, dal 27 giugno 1980 a121 agosto 1999.
C’è un gruppo di fascicoli che contiene le «risoluzioni strategiche», i volantini prodotti dalle Brigate rosse dopo gli attentati. Gli atti di polizia giudiziaria, gli interrogatori dei 173 imputati di cui la metà era in carcere, 200.000 pagine di testimonianze, le perizie. DA USTICA ALLA MAGLIANA 2 milioni e 300.000 pagine del processo di Ustica, il lavabo del velivolo abbattuto in uno scatolone, il modellinci riproduzione fedele del Dc 9 Itavia, i famosi tabulati e le bobine dei voli. Nell’archivio rotante, protetti da sportelli metallici stanno chiusi i documenti su cui è stato apposto il timbro «riservato», «riservatissimo».
Si tratta dei 548 sequestri fatti al Sismi, le acquisizioni in Belgio, nel quartier generale della Nato, ottenute durante il governo Prodi. Carte lette dai soli magistrati. Altri percorsi fra gli scaffali, altre stanze: il processo per il 7 aprile (Toni Negri), le carte sequestrate avilla Wanda, processo Gelli, l’attentato al papa, gli attentati internazionali, come quello per la strage di Fiumicino, Abbacino e la banda della Magliana. Il cancelliere Paolo Musio dal 1981 è stato accanto ai giudici, soprattutto a Rosario Priore, nei più importanti processi per terrorismo svóltisi a Roma. Ne ha la memoria viva, è tuttora di straordinario aiuto peri magistrati, i familiari delle vittime, gli studiosi come Massimo Mastrogregorio e Miguel Gotor.
Quando si è trattato di trovare un responsabile per l’archivio, trasferito nel dicembre 2009 a Rebibbia da piazzale Clodio, «chi meglio di te Il cancelliere Paolo Musio fa da guida Si occupa dei faldoni dal 1981 …», gli è stato detto, e si è ritrovato nel ruolo di sacerdote del tempio che racchiude la possibilità della ricerca di verità, non solo giudiziaria ma anche storica, giornalistica, politica, umana. Solo che lo Stato italiano, consapevole nell’opera dei suoi funzionari, – è il presidente del Tribunale De Fiore ad esaminare le richieste di consultazione – non lo è altrettanto nelle strutture. Il «tempio» è un prefabbricato inadeguato per cronica mancanza di spazio, seppure migliore dei sotterranei di piazzale Clodio, dove le carte subivano l’assalto degli acari e le persone entravano protette dalle mascherine.
Paolo Musio rende omaggio al suo maestro, il cancelliere Leo Piccone, «La strada dei documenti è lunga – diceva – comincia e non finisce all’ufficio istruzione». E mostra i fascicoli del dottor Piccone, che lui rilegava con un filo spesso, perfetti a distanza di 40 anni. «METRI» DI PROCESSI Le 13 lettere autografe di Aldo Moro entrate a far parte degli atti giudiziari sono in cassaforte (molti altri originali non si sa bene dove siano, in parte nelle mani dei destinatari o nei loro archivi, non si sa, per esempio, dove siano quelle che Aldo Moro indirizzò a Paolo VI). Questo pomeriggio alle 16, con una piccola cerimonia il presidente Paolo De Fiore consegnerà l’epistolario più importante del Novecento al direttore dell’Archivio di Stato di Roma Eugenio Lo Sardo.
Lo scorso 3 marzo l’Unità aveva raccolto l’allarme degli studiosi e degli archivisti. È seguito un buon accordo di collaborazione fra istituzioni. Gli originali sono a rischiò, a causa del loro stato di conservazione. Li ha esaminati il dottor Michele Di Sivo, dell’Archivio di Sant’Ivo alla Sapienza: scritte su fogli di block notes A4, con biro o pennarelli, le graffette arrugginite hanno prodotto dei buchi, le parole ai margini dei fogli rischiano di diventare illeggibili, la carta potrebbe aver subito danni anche dalle.cartelline di plastica in cui era conservata.
«Per fortuna – spiega Eugenio Lo Sardo – il ministero dei Beni culturali ha un istituto di restauro della carta di grande competenza». Al trasferimento delle lettere seguirà il trasloco dei dattiloscritti, delle fotocopie e degli atti del processo Moro, anche se non sono ancora trascorsi i 40 armi, in considerazione dell’importanza storica dei materiali. Sul quando, però, pende l’incognita della mancanza di spazio. Lo Stato ha ceduto ai comuni, sotto l’imperativo della valorizzazione, immobili demaniali, senza riflettere sulle proprie necessità. Trascorsi 40 anni, per legge, a disposizione dell’Archivio di Stato di Roma sono gli atti dei processi dal 1951 al 1970.
Ma c’è un dato elaborato da Paolo Musio nelle sue relazioni, impressionante anche per gli storici: gli atti dal 1951 al 1970 occupano 118 metri lineari, quelli relativi ai processi dal 1971 al 1999 occupano, invece, 800 metri lineari: un trentennio di sangue, di stragi e di complotti. La storia d’Italia, come dice il presidente De Fiore


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