Il Matttino, Giuseppe Montesano –
I musei di arte contemporanea sono in crisi? Pare di sì: piange la Galleria di Arte Contemporanea di Monfalcone, piange il Man di Nuoro, non ride Palazzo Riso a Palermo, piangono Madre e Pan a N apoli, al Cam di Casoria il pianto è diventato rogo di opere, e non si capisce fino in fondo se il Maaod, che ha un indiscutibile livello culturale, sia o invece non sia in difficoltà: e una sia pur piccola goccia di pianto sgorga persino dal Getty Museum. Che però, al contrario dei musei citati, non solo non riceve soldi dallo Stato, ma non fa neanche pagare il biglietto ai visitatori, e ha solo deciso di ridimensionare i suoi eventi. Che succede? L’arte contemporanea non è più amata? O in tempo di crisi e decisioni economiche di sopravvivenza si decide silenziosamente di salvare l’arte “classica” e di far consumare nelle fiamme l’arte “contemporanea”? O l’arte contemporanea è in parte una bolla speculativa che, come indicherebbe il fortissimo calo di quotazioni di alcuni artisti famosi, sta scoppiando? In questi anni niente ha occupato i media come l’arte contemporanea: unita alla cultura alta come al turismo di massa, divulgata come indispensabile tra un albergo di charme e un giro in subway nella Big Apple, considerata un investimento sicuro, l’arte contemporanea è anche scesa in politica, e in remoti posti della Terra assessori alla cultura e allo sport e sindaci che sbagliavano i congiuntivi hanno discettato di post-dadaismo, installazioni e multimedialità come consumati critici: purtroppo, oltre a discettare, hanno anche speso, e male, cioè senza risultati per la comunità, i soldi pubblici. Forse anche questo ha gonfiato il “valore” di molta produzione al di là del suo valore d’arte: in termini di mercato c’è stata una sovrapproduzione, e, in termini culturali, una sopravvalutazio-ne. Il pubblico è andato a Mostre e Musei per essere trendy? O c’è andato perché gustava, capendole, le opere di arte contemporanea? E qui si arriva a un luogo capitale della questione. L’educazione alla contemporaneità in arte, che sia arte dell’immagine, musica, letteratura o cinema è necessaria: ma è molto limitata. Nessun tifoso di calcio è ignorante, e tutti conoscono la differenza tra un quattro-tre-tre e un quattro-quattro-due: ma quanti tifosi d’arte contemporanea conoscono le basi o la storia di ciò per cui tifano? Tutto è demandato a istituzioni, critici e media; ma se è esistita una bolla speculativa dell’arte è anche perché gli addetti ai lavori hanno voluto che il giudizio di valore fosse non chiaro, e restasse nelle mani di una élite non culturale ma finanziaria. L’anno scorso è uscita per una famosa casa editrice di lingua inglese una rassegna fatta da dieci curatori di musei e gallerie, che sceglieva le opere “fondamentali” degli ultimi trent’anni: tra queste non c’era nessuna opera di Kiefer, che per gli storici dell’arte è uno dei massimi artisti contemporanei, e, invece, c’erano molti autori simili a tanti altri. Il sospetto è lecito: era per lanciare e vendere “novità” sul mercato? L’educazione all’arte contemporanea è fondamentale, perché l’arte contemporanea è la continuazione, in altre forme, dei graffiti primitivi di Lascaux o della pittura di Giotto, e quindi non è avulsa da tutto il resto, come troppa critica fa credere. E’ poi ovvio che, diventato così volubile il significato di valore, la crisi spinga gli investitori, anche pubblici, a puntare sull’arte più riconosciuta, quella che, tra l’altro, funziona anche a livello di pubblico. E’ giusto allora che il museo con Botticelli abbia le sovvenzioni pubbliche e quello con IGefer no? Non è giusto, certo. Ma è giusto che per Kiefer o Bill Viola ci siano sovvenzioni e per le caccole di mosca sottovuoto di Pinco Palla no? Si, è giusto. Lo scoppio delle bolle speculative ha un risvolto positivo: costringe all’essenziale, e l’essenziale nell’arte, contemporanea e non, è il valore culturale, possibilmente riconosciuto dai più, quando i più sono educati alla comprensione-godimento dell’arte. Equi i musei hanno l’occasione di trasformarsi in scuole aperte permanenti di cultura, non in sub-gallerie travestite da musei; e i Ministri dell’Istruzione non dovrebbero pensare solo a test e a compiti a casa sì o no, ma anche a come aprire la scuola alla cultura contemporanea. La cultura reale genera valore monetario e valori non monetari, ma ad essa bisogna educare. La questione scoppierà tra poco anche nel campo letterario, ed è già esplosa nel cinema e nel teatro, con una domanda subdola: serve davvero la cultura? Duemilacinquecento anni fa, ad Atene, lo Stato pensava che servisse, e pagava il biglietto al popolo per farlo andare a teatro, perché riteneva che l’arte educasse alla civiltà, e fosse altrettanto indispensabile del cibo. E’ possibile che non siamo in grado di imitare, in forme nuove, i creatori della civiltà che abbiamo ereditato?
Salviamo i musei dal falò delle vanità
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