Le intercettazioni si possono utilizzare nei processi tributari

 Sole24Ore, di Giovanni Negri –
Utilizzo pieno per le intercettazioni nel processo tributario. Non esiste lesione del diritto di difesa e neppure di quello alla riservatezza delle comunicazioni. Lo precisa la Corte di cassazione con la sentenza n. 2916 della Quinta sezione civile, depositata ieri. La vicenda approdata in Cassazione è quella relativa a un avviso di accertamento Iva relativo al 1996 emesso nei confronti di una società in accomandita semplice. La commissione tributaria provinciale aveva accolto l’impugnazione proposta dal contribuente ma quella regionale aveva ribaltato il verdetto accogliendo invece la posizione dell’ufficio tributario. Tra i motivi di ricorso, la difesa della società aveva sostenuto che alla base della sentenza della commissione regionale stavano informazioni sommarie raccolte attraverso testimonianze e intercettazioni telefoniche.
Quanto alle dichiarazioni di terzi, la Cassazione se la sbriga rapidamente sottolineando come quelle raccolte dalla polizia tributaria e inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza, quanto piuttosto di semplici informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e, a determinate condizioni, possono essere utilizzate come elementi di prova.
Sul versante delle intercettazioni, invece, la sentenza si sofferma più ampiamente e ricorda che il divieto introdotto dall’articolo 270 del Codice di procedura penale di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui sono state disposte non vale per il contenzioso tributario, ma solo in ambito penale, «non potendosi arbitrariamente estendere l’efficacia di una norma processuale penale, posta a garanzia dei diritti di difesa in quella sede, a dominii processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie».
La Corte spiega così che un atto legittimamente raccolto in sede penale (punto peraltro che la stessa difesa non aveva contestato, concentrandosi invece sul suo utilizzo) e trasmesso all’amministrazione tributaria entra a fare parte a pieno titolo del materiale probatorio che il giudice fiscale deve valutare. Non esistono ostacoli di ordine generale come la possibile violazione del diritto di libertà e segretezza delle comunicazioni, infatti il legittimo svolgimento delle intercettazioni presuppone che sia già intervenuto il provvedimento in merito da parte dell’autorità giudiziaria, con tutte le garanzie stabilite dalla legge.
Nessun ostacolo, poi, neppure per quanto riguarda l’esercizio del diritto di difesa: a differenza di quanto accade nel processo penale, infatti, il difensore del contribuente non è chiamato a partecipare alla formazione della prova contenuta nell’atto trasmesso. Il minore tasso di garanzia si spiega con la minore attendibilità sul piano probatorio dell’atto stesso. Per l’uso delle intercettazioni nel giudizio tributario non vale neppure la ratio cui è ispirato il divieto del Codice di procedura penale e cioè evitare che procedimenti con imputazioni fantasiose possano legittimare il ricorso alle intercettazioni per favorirne l’utilizzo in procedimenti per reati che non avrebbero permesso questo mezzo di indagine.
In senso contrario non vale neppure una recente pronuncia delle Sezioni unite penali (sentenza n. 13426 del 2010), per la quale la non utilizzabilità delle intercettazioni nel processo di cognizione ha conseguenze anche nell’ambito del procedimento di prevenzione.
LA SENTENZA
Non si frappone poi il diritto di difesa per la circostanza che, a differenza di quanto avviene nel processo penale, nel caso in questione il difensore del contribuente non è chiamato a partecipare alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso, in quanto, nel processo tributario, l’atto acquisito non è destinato ad assumere il valore probatorio che ad esso è riconosciuto nel processo penale: il minor tasso di garanzia del diritto al contraddittorio nel procedimento tributario si riverbera sulla minore attendibilità sul piano probatorio dell’atto.
Cassazione, Quinta sezione civile, sentenza n. 2916 del 7 febbraio 2013


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