Biennale. Il lavoro-simbolo di Gaetano Pesce «L’Italia in croce». Così si apre il «Padiglione Sgarbi»

 Corriere della Sera, Pierluigi Panza –
“L’arte non è cosa nostra», titolo del Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi, si apre con «L’Italia in croce», lavoro-simbolo del designer Gaetano Pesce. II titolo scelto da Sgarbi sta a significare che d’arte non dev’essere nelle mani di una cricca di critici». Per cui ha operato con un geniale saltafosso: svestiti i panni del valutatore e selezionatore, ha lasciato che a scegliere siano gli altri. Ovvero gli «intellettuali» contattati (molti della cosiddetta «sinistra»), che hanno indicato ciascuno un artista, per un totale di 2-300 al Padiglione (altri nelle sedi sparse sulla Penisola).
«Però non era obbligatorio rispondere – come ricorda lo scrittore Franco Cordelli -. Io, che non me ne intendo d’arte, ho ritenuto opportuno declinare». E come lui, (vedi «l’Unità» di ieri) altri. Ma chi ha risposto cos’ha risposto? Spesso ha indicato – e potrebbe essere diversamente? – un artista «amico», sodale, talvolta al limite del familismo (molti dei prescelti non sono mai stati battuti in asta).
Così quella di Sgarbi è diventata, con geniale nichilismo, una realistica rappresentazione dell’Italia di oggi, multiforme e « raccomandaticcia», in forma d’arte. In questo la sua è una luckacsiana «estetica del rispecchiamento». Ovviamente non tutti ci stanno. Specie coloro che ritengono ci sia ancora posto per una critica seria – ma fondata su quali postulati? – e per una sperimentazione. E così si sono moltiplicate critiche ed azioni sul campo. «La proposta di Sgarbi è sgangherata e pleonastica – afferma Renato Bacilli -, anche se è vero che al comando dell’arte c’è una cricca di curators molto schifiltosi. Io non condivido nemmeno il parere di Michele Ainis («Corriere della Sera», 18 maggio), perché non siamo più ai tempi del realismo sociale. La mia iniziativa vuole pescare pur nello stagno giusto dei lavori in corso, tra i giovani, senza schermi e paraocchi».
La sua iniziativa è «Nuova creatività italiana» a Bologna, una sorta di Officina Italia 2, con 34 giovani artisti «con cui tratteggio un valido panorama di nuove forze in campo, con sottintesa polemica verso il carrozzone che sta organizzando Sgarbi» (la mostra sarà inaugurata il 31 maggio, giorno di preapertura della Biennale ai critici). Un po’ sulla stessa linea, nei giorni scorsi Umberto Eco ha presentato alla Triennale di Milano gli artisti di «Alfabeta2», come Jannis Kounellis, Arnaldo Pomodoro, Michelangelo Pistoletto, Carla Accardi. Anche l’ex presidente della Quadriennale, Gino Agnese, attacca il Padiglione Italia: « si avvia a un esito disastroso perché tutto è stato fatto con improvvisazione. Apre le porte al limite del dilettantismo e degli artisti della domenica. Lui ha dato titolo di partecipante alla Biennale, cioè titolo di validazione a una processione di pseudoartisti.
Ma è vero che l’arte contemporanea risponde a un criterio internazionale di validazione che fa degli abusi». Oltre al problema dei critici, c’è quello della committenza, come mostrato dal Festival dell’arte contemporanea di Faenza (diretto da Carlos Basualdo, Pier Luigi Sacco e Angela Vettese), dove c’erano grandi collezionisti. «Bisogna far comprendere che arte contemporanea e committenza – dichiarano gli organizzatori – non sono in contrasto nè con le emergenze sociali nè con la salvaguardia del patrimonio».


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